Confesso che la prima idea nello scrivere questo testo è stata fortemente influenzata dalla tentazione di evocare tre illustri matematici per assistere alle loro discussioni: una sorta di super intervista impossibile, molto più complessa di quella fatta a Giuditta e al generale assirobabilonese Oloferne da lei ucciso a tradimento.
Già mi figuro la furiosa reazione e la reticenza ad accettare l’invito: «No. Con quel francese bigotto e papista, mai e poi mai!» avrebbe esclamato lo scozzese John Napier (Giovanni Nepero), maneggiando nervosamente una delle sue scatole contenente decine di bastoncini che, nell’agitazione, gli si sarebbe rovesciata disseminando sul pavimento gli elementi basilari della sua tecnica di calcolo.
Il bigotto papista francese, cioè Blaise Pascal, lo avrebbe sì cristianamente perdonato per le invettive ricevute, ma anche gli avrebbe certamente tenuto testa, vantando i meriti del suo meccanismo ingegnoso.
E il terzo convenuto chi mai avrebbe potuto essere se non Goffredo Guglielmo Leibniz che, prendendo ispirazione dalla cosiddetta “pascalina”, sviluppò un marchingegno in grado di eseguire non soltanto addizioni e sottrazioni, ma anche moltiplicazioni e divisioni?
Li avrei provocatoriamente invitati non in un laboratorio scientifico o in un’aula universitaria, ma in un supermercato d’oggigiorno. Qui la cassiera con il premere semplicemente un pulsante li avrebbe fatti rimanere a bocca aperta, perché in un istante avrebbe calcolato l’importo, gli sconti, le percentuali parziali e totali dell’IVA. Uno scontrino di carta consegnato all’acquirente avrebbe attestato l’effettivo pagamento della merce e costituito, su certi prodotti, la legale garanzia del diritto di riparazione/sostituzione di un articolo eventualmente difettoso.
Chi ha i capelli bianchi, come rimpiango di non poterli avere io, ricorderà certamente la classica matita posizionata tra l’orecchio e la tempia del negoziante, sempre a disposizione per rapidi conteggi sull’incarto della merce. L’abitudine era talmente diffusa che, sfruttandone la visibilità, molte ditte facevano stampigliare il loro marchio su queste matite messe a disposizione degli esercenti. Il canuto lettore ricorderà anche la calcolatrice a manovella e la lunga striscia di carta disseminata di numeri. Questa cosa oggi i bambini la scoprono invadere il deposito dello zio Paperone, quale lunghissimo serpente che nelle sue spire annota un’interminabile sfilza di dollari accumulati.
Nepero (1550 – 1617), Pascal (1623 – 1662) e Leibniz (1646 – 1716) però non furono soltanto matematici e scienziati, ma anche filosofi e ciò che li accomuna nel mio interesse è che tutti e tre si sforzarono di alleviare ai contabili la fatica, donde l’impegno a escogitare strumenti di calcolo.
Comincio ad occuparmi di Nepero. Scozzese, non era matematico di professione, ma un ricco proprietario terriero. Anglicano (Enrico VIII nel 1534 aveva decretato l’autonomia della Chiesa d’oltremanica) ed acerrimo anticattolico, come risulta dagli
scritti e dalle dispute teologiche, aveva riscontrato che l’avversione nei confronti della matematica per la maggioranza della gente comune era dovuta al faticoso processo di calcolo. Egli elaborò un curioso metodo che chiamò rabdologico; per meglio capire cosa intendesse, richiamiamo la credenza che il rabdomante (dal greco, chi usa bastoni a scopo divinatorio), riesca ad individuare una fonte di acqua nascosta nel sottosuolo. Egli aveva dunque predisposto appositi bastoncini [chiamati virgulae (parola che ha origine etimologica uguale al nostro segno di interpunzione: la virgola, cioè, piccola verga)] tutti di ugual misura con su incisi in verticale i numeri della tavola pitagorica. Ogni bastoncino riportava la sequenza di una sola tabellina, dall’alto verso il basso. La colonna era suddivisa in dieci celle tagliate a metà dalla diagonale. Ad esempio, il 27 era scritto 2\7 separando decine ed unità. Accostando diversi bastoncini si potevano eseguire le moltiplicazioni, utilizzando i numeri di colonne adiacenti e sommando quelli separati dalla diagonale.
Dovendo, ad esempio, fare 594 per 3, si accostano i regoli delle tabelline 5 _ 9 _ 4.
Nelle celle della terza riga si legge: │1\5║2\7║1\2│
Partendo da destra si trascrive 2, poi 1+7 = 8, poi 2 + 5 = 7, poi 1. Il risultato è 1782.
Da noi sono conosciuti come regoli di Nepero, ma poiché erano costituiti di avorio, nel mondo anglosassone ancora oggi sono noti come “ossi di Nepero”. Un bravo contabile però era più propenso a servirsi di carta e penna, risparmiando il tempo necessario per disporre su apposita tavoletta i vari “ossi” e poi sommare i risultati parziali dati da ogni cifra del moltiplicatore. Questa tecnica risultava una via di mezzo fra l’antico abaco con pedine colorate di diverso valore ed il metodo introdotto da Fibonacci. Ovviamente la fama di Nepero non si limita ai suoi celebri bastoncini, perché si interessò anche di logaritmi, ma ai nostri fini può bastare quanto scritto.
La ditta Quercetti® di Torino da anni ha prodotto un gioco intelligente che riproduce il funzionamento della “pascalina” con cinque semplici ruote dentate (tre gialle con stampigliate le cifre da 0 a 9 e due di colore arancione per eseguire in automatico riporti e prestiti). Pur raggiungendo soltanto il 999 è però in grado di far comprendere come uno strumento, tutto meccanico, sia in grado di applicare il riporto ed il prestito nelle operazioni di addizione e sottrazione.
Il diciannovenne Pascal, vedendo il padre Etienne intendente delle finanze impegnato per molte ore nei calcoli, pensò di alleviargli la fatica ideando e costruendo un marchingegno apposito.
La peculiarità principale della “pascalina” consiste nell’espediente che, quando la ruota delle unità raggiunge il dieci, fa avanzare automaticamente di uno scatto quella accanto delle decine e così, al momento opportuno, avviene per quella delle decine con quella delle centinaia e questa con quelle delle migliaia. Ruotando in senso antiorario veniva praticata la sottrazione, il tutto per un numero massimo di dodici cifre.
Il giovane Blaise, dopo aver ideato il suo marchingegno, materialmente per costruirlo si servì dell’opera di un buon orologiaio. Soltanto nove esemplari sono
sopravvissuti e vengono conservati in musei a Dresda e a Parigi. Sollevando il coperchio di uno di essi, si può leggere in latino e grafia autografa: «La firma a garanzia dello strumento sia questa: Biagio Pascal, della regione dell’Alvernia, inventore. 16 maggio 1652».
La Stepped Reckoner (la calcolatrice di Leibniz), è stata la prima calcolatrice meccanica in grado di eseguire le quattro operazioni matematiche: addizione, sottrazione, moltiplicazione e divisione. A partire dal 1674, il prototipo in ottone richiese una ventina di anni di progettazione/realizzazione; la macchina, fu successivamente modificata da Leibniz e collaboratori, fino all’ultimo modello che vide la luce nel 1720, ben quattro anni dopo la sua morte. Le sorti proprio di questo esemplare sono particolarmente singolari: nel 1775 si guastò e fu spedito all’Università di Gottinga per le riparazioni, ma qui fu smarrito. Venne ritrovato cento anni dopo in una soffitta della stessa università. Nel 1880 fu restituito ad Hannover (la città di Leibniz) e finalmente restaurato nel 1896.
Il cuore della macchina consiste in un meccanismo chiamato cilindro di Leibniz o tamburo a denti scalari che permette di memorizzare il moltiplicando e di spostarlo a sinistra di uno, due, tre posti… a seconda delle cifre del moltiplicatore e di eseguire operazioni ripetitive semplicemente girando una manovella.
Nonostante non garantisse un’assoluta affidabilità per problemi meccanici, la Stepped Reckoner influenzò lo sviluppo delle future calcolatrici.
Non posso esimermi dal menzionare il famoso “macinapepe” in auge fino agli anni ’70, cioè una minuscola calcolatrice molto usata anche dai cronisti sportivi, ad esempio per calcolare i tempi nei rally automobilistici. Il vero nome di questa calcolatrice era: Curta, da quello del suo inventore Curt Herzstark, ebreo austriaco imprigionato nel campo di Buchenwald. Aveva iniziato a progettarla partendo proprio dal cilindro di Leibnitz e stava cercando di produrla per l’azienda paterna. Gli eventi storici fecero di lui un perseguitato, ma già si era conquistata una certa fama ed i nazisti gli concessero di lavorare in una sezione speciale del lager sperando di poter dotare il Terzo Reich del gioello meccanico uscito dalle sue mani. Entrò in produzione solo nel 1948 presso la ditta Contina Ltd Mauren nel Liechtenstein. La prodigiosa macchina sta nel palmo della mano ed è azionata da una minuscola manovella posta di sopra, da qui il nomignolo di macinapepe. L’ultimo esemplare uscì dalla fabbrica nel 1972.
A differenza delle rarissime macchine di Pascal e di Leibniz, la Curta è stata prodotta in migliaia di esemplari ed un collezionista se la può permettere al prezzo ragionevole di 1000/1500 €.
La manovella, per moltissimi anni, rappresentò l’economico sistema di avanzamento dei numeri in apposite finestrelle per la loro visione e sul tampone inchiostrato a disposizione dei contabili di uffici e banche, così come sul carrello delle macchine da scrivere meccaniche un’apposita manopola consentiva di far girare il rullo per far avanzare la carta ed andare a capo, con un unico gesto della mano destra. Con l’introduzione di piccoli motori elettrici tutto fu semplificato, fino al display a cristalli
liquidi dove compaiono i risultati senza l’accompagnamento di rumori meccanici a richiamare la “fatica” del calcolo.