L’OROLOGIAIO (All’ombra dello zen) di Grazia Valente
L’orologiaio di Grazia Valente
Un vecchio orologiaio di nome Tokufu stava diventando matto davanti ai meccanismi di un orologio da tasca che gli aveva portato un cliente perché glielo riparasse. L’orologio era particolarmente bello, con la cassa in argento finemente cesellata. Tokufu era un orologiaio esperto, avendo ereditato dal padre i segreti del mestiere. Davanti a questo orologio però si sentiva come un principiante. L’orologio un po’ batteva il tempo e subito dopo si fermava. C’era di che impazzire.
Un giorno venne al negozio suo cugino con due orologi da tavolo da riparare.
Ora non posso, disse Tokufu, devo prima sistemare questo. Lasciali sul tavolo e appena possibile gli darò un’occhiata.
Passarono tre giorni, poi quattro, poi una settimana, e Tokufu era sempre alle prese con l’orologio da tasca. Vediamo chi la vince! diceva tra sé, non è mai successo che un orologio rotto non sia stato riparato. Intanto gli altri orologi da aggiustare si ammucchiavano sul suo tavolo. I clienti incominciavano a spazientirsi, qualcuno si era ripreso il suo orologio e se n’era andato borbottando. Ma Tokufu non si arrendeva. Sembrava che l’impresa di riparare l’orologio d’argento avesse assorbito tutta la sua energia. Quasi non toccava cibo, dormiva pochissimo perché alla sera faceva tardi imprigionato al suo tavolo da lavoro e al mattino si svegliava all’alba e subito correva ad accendere la lampada che illuminava il tavolo con l’orologio. I suoi occhi erano arrossati, le labbra secche perché anche semplicemente bere un bicchiere d’acqua lo distoglieva dalla sua ossessione. Poi, un mattino, si arrese. Prese l’orologio, lo avvolse in un pezzo di stoffa e se lo mise in tasca. Girovagò per le strade avvolte dalla nebbia, dentro al suo pastrano di fustagno, con lo sguardo spiritato. Alla fine si decise. Si tolse l’orologio dalla tasca e lo gettò nel fiume che scorreva lì vicino.
Meriti di annegare! diceva tra i denti. Diventerai pasto per i pesci! ripeteva tirando calci ai lampioni.
9. L’orologiaio
Un vecchio orologiaio di nome Tokufu stava diventando matto davanti ai meccanismi di un orologio da tasca che gli aveva portato un cliente perché glielo riparasse. L’orologio era particolarmente bello, con la cassa in argento finemente cesellata. Tokufu era un orologiaio esperto, avendo ereditato dal padre i segreti del mestiere. Davanti a questo orologio però si sentiva come un principiante. L’orologio un po’ batteva il tempo e subito dopo si fermava. C’era di che impazzire.
Un giorno venne al negozio suo cugino con due orologi da tavolo da riparare.
Ora non posso, disse Tokufu, devo prima sistemare questo. Lasciali sul tavolo e appena possibile gli darò un’occhiata.
Passarono tre giorni, poi quattro, poi una settimana, e Tokufu era sempre alle prese con l’orologio da tasca. Vediamo chi la vince! diceva tra sé, non è mai successo che un orologio rotto non sia stato riparato. Intanto gli altri orologi da aggiustare si ammucchiavano sul suo tavolo. I clienti incominciavano a spazientirsi, qualcuno si era ripreso il suo orologio e se n’era andato borbottando. Ma Tokufu non si arrendeva. Sembrava che l’impresa di riparare l’orologio d’argento avesse assorbito tutta la sua energia. Quasi non toccava cibo, dormiva pochissimo perché alla sera faceva tardi imprigionato al suo tavolo da lavoro e al mattino si svegliava all’alba e subito correva ad accendere la lampada che illuminava il tavolo con l’orologio. I suoi occhi erano arrossati, le labbra secche perché anche semplicemente bere un bicchiere d’acqua lo distoglieva dalla sua ossessione. Poi, un mattino, si arrese. Prese l’orologio, lo avvolse in un pezzo di stoffa e se lo mise in tasca. Girovagò per le strade avvolte dalla nebbia, dentro al suo pastrano di fustagno, con lo sguardo spiritato. Alla fine si decise. Si tolse l’orologio dalla tasca e lo gettò nel fiume che scorreva lì vicino.
Meriti di annegare! diceva tra i denti. Diventerai pasto per i pesci! ripeteva tirando calci ai lampioni.
9. L’orologiaio
Un vecchio orologiaio di nome Tokufu stava diventando matto davanti ai meccanismi di un orologio da tasca che gli aveva portato un cliente perché glielo riparasse. L’orologio era particolarmente bello, con la cassa in argento finemente cesellata. Tokufu era un orologiaio esperto, avendo ereditato dal padre i segreti del mestiere. Davanti a questo orologio però si sentiva come un principiante. L’orologio un po’ batteva il tempo e subito dopo si fermava. C’era di che impazzire.
Un giorno venne al negozio suo cugino con due orologi da tavolo da riparare.
Ora non posso, disse Tokufu, devo prima sistemare questo. Lasciali sul tavolo e appena possibile gli darò un’occhiata.
Passarono tre giorni, poi quattro, poi una settimana, e Tokufu era sempre alle prese con l’orologio da tasca. Vediamo chi la vince! diceva tra sé, non è mai successo che un orologio rotto non sia stato riparato. Intanto gli altri orologi da aggiustare si ammucchiavano sul suo tavolo. I clienti incominciavano a spazientirsi, qualcuno si era ripreso il suo orologio e se n’era andato borbottando. Ma Tokufu non si arrendeva. Sembrava che l’impresa di riparare l’orologio d’argento avesse assorbito tutta la sua energia. Quasi non toccava cibo, dormiva pochissimo perché alla sera faceva tardi imprigionato al suo tavolo da lavoro e al mattino si svegliava all’alba e subito correva ad accendere la lampada che illuminava il tavolo con l’orologio. I suoi occhi erano arrossati, le labbra secche perché anche semplicemente bere un bicchiere d’acqua lo distoglieva dalla sua ossessione. Poi, un mattino, si arrese. Prese l’orologio, lo avvolse in un pezzo di stoffa e se lo mise in tasca. Girovagò per le strade avvolte dalla nebbia, dentro al suo pastrano di fustagno, con lo sguardo spiritato. Alla fine si decise. Si tolse l’orologio dalla tasca e lo gettò nel fiume che scorreva lì vicino.
Meriti di annegare! diceva tra i denti. Diventerai pasto per i pesci! ripeteva tirando calci ai lampioni.