FRA SIBILI E SUSSURRI di Letizia Gariglio
Il suono S aspro o S dolce, in quanto onomatopea sibilante, imita lo sfregamento di sostanze solide, o liquide o gassose. Possiamo assimilare al suono S anche quello della SC. Ne derivano parole che in qualche modo sono collegate a una sostanza o a più di una sostanza o a un’azione che ha delle modalità di sfregamento, come strusciare o setacciare, sciare. Spesso hanno un’iniziale S anche i materiali o gli strumenti che provocano lo sfregamento e talvolta anche il nome di chi li maneggia. Per esempio, sega o setaccio, scalpello (e scalpellino), scala, spatola e stecca, ma anche lo spillo da sarta e la spada, strumento principe dell’antico guerriero.
Anche molti strumenti musicali iniziano o contengono S: il sassofono, il salterio, la siringa, il sistro, il sitar, la spinetta, il basso e il contrabbasso,…e, perché no, il sintetizzatore, mentre una bella Z dolce è contenuta nello zufolo e una aspra nella zampogna.
Lo sfregamento può essere causato da elementi liquidi, ritroviamo questo concetto nelle parole risacca, spiaggia, spartiacque, sobbollire, schiuma, nevischio, sciacquare e risciacquare sciabordio sorgente, schizzare, spruzzare, sgorgare, spumeggiare, sputacchiare, sudare e trasudare, starnutire, sbuffare, annusare.
In latino, la parola serpere (con l’ultima e breve) significa strisciare, serpeggiare, ondeggiare, attorcigliarsi, ma anche andare a carponi; come è evidente è legata al verbo la parola serpente, vale a dire un animale che striscia. Così la S evidenzia sia l’azione del rettile e il suo modo di spostarsi ma nello stesso tempo ricorda anche il suono che l’animale emette strisciando, infine rammenta il suono che l’animale produce emettendo il suo sibilo, cioè sibilando.
I suoni S, spiranti, rappresentano onomatopee del soffio e sono legate a delle azioni emotive che pretendono l’espulsione del fiato: sofferenza, spossatezza, spavento spasimo, strazio, disgrazia . È evidente che molte di queste parole sono legate a una emozione negativa e che esprimono un atto di espulsione del fiato, un’atto espiratorio.
Sentite come nella parola “spifferare” si percepisce un’azione in cui si dice di soppiatto in modo indiscreto, come l’aria che passa nelle fessure delle labbra trattenute.
Anche tutte le parole che iniziano con il prefisso “dis” hanno un significato peggiorativo, non solo nel linguaggio medico: il prefisso stesso indica sempre che c’è un’alterazione, una malformazione, un funzionamento che in qualche modo è difettoso, una anomalia, un discostamento, quindi un allontanamento, seppur metaforico (non spaziale) dalla normalità.
La lingua italiana è ricca di parole che hanno il prefisso “S” soprattutto in verbi ma anche in nomi e aggettivi. Il nostro prefisso “S” deriva dal latino “ex”, ne rappresenta la continuazione di significato, esprimendo un’idea di uscita da un luogo o, figurativamente, da una condizione, ma rappresenta anche un’idea di privazione.
Il suono onomatopeico S è anche adatto ad esprimere e a riprodurre le impressioni sensoriali che sono in qualche modo legate a ciò che è liscio, levigato e anche a ciò che è veloce. È liscio ciò che è saponoso, ciò che slitta, ciò che glissa; è veloce ciò che è svelto, lesto, ciò che schizza, sfreccia, si spiccia ad agire, che si slancia come una saetta, come una strale.
Quando ampliamo la gamma del suono “S”comprendendo anche “sc”, allora ci accorgiamo che esso può essere utilizzato per definire ciò che viscido, vischioso, sgusciante, lascivo, scivoloso, ciò che lascia una scia, o si scioglie e si discioglie, che infastidisce come un vento di scirocco, o appiccica in gola come uno sciroppo.
E magari possiamo utilizzarlo per respingere in modo dinamico qualcuno che desideriamo allontanare: sciò! sciò!
Ma no, invece preferiamo lasciarci con tante S che provengono dai Poemi Conviviali, dai potenti valori fonosimbolici, di cui il poeta Pascoli è stato maestro; qui parla dell’ultimo viaggio di Odisseo e del suo peregrinare per mare in una notte stellata:
«…
Egli era fisso in alto, nelle stelle,
Ma gli occhi il sonno gli premea, soave,
E non sentiva se non sibilare
La brezza nelle sartie e nelli strali.
E la moglie appoggiata all’altro muro
Faceva assiduo sibilare il fuso».