LA VOCE IMPAZIENTE. VIAGGIO NELLA POESIA (25, 26, 27) di Grazia Valente
25. La poesia come terapia
Ma perché si scrive? Molti lo chiedono al poeta o allo scrittore, ma la stessa domanda potrebbe essere rivolta ai pittori, ai musicisti, agli attori e, in generale, a tutti coloro che svolgono quelle attività che presuppongono una particolare attitudine, quasi una vocazione. E’ una domanda alla quale si può rispondere in molti modi. Per diventare eterni, come abbiamo detto in precedenza. O perché non se ne può fare a meno, come di una passione che ci possiede e ci condiziona. Oppure, semplicemente, per colmare un vuoto affettivo, una solitudine esistenziale.
Riempiva di versi il suo vuoto
d’amore, fino a traboccare
e l’amore non è rimasto a guardare.
In punta di piedi è ritornato
a reclamare
il posto usurpato
In questo modo ci si libera ed è forse più facile ristabilire l’equilibrio che manca. La poesia come terapia non è una utopia. E può accadere che, proprio per il fatto che si sia tentato così di colmare un vuoto affettivo – in questo caso il vuoto amoroso – l’ “assente”, avvertendo questa usurpazione, chieda di ritornare.
Questo è comunque uno dei tanti prezzi che si pagano alla poesia. Di nuovo, la sofferenza sembra essere una pre-condizione per creare.
26. La creatività come sostituto
E spesso è la rinuncia ai nostri sogni, ai nostri progetti, a trasformarsi in creatività, in questo caso nella creatività della scrittura. Ricordiamo le parole di Croce, secondo cui “la poesia nasce da un desiderio insoddisfatto”, già richiamate precedentemente.
Dei nostri mari lontani
quello che resta è una vela
di carta rigata di inchiostro
e un vento che soffia
soltanto parole.
Un vento che non si sa da chi sia prodotto, né da dove provenga, né dove voglia portare (ancora il mistero della creazione!). Il poeta è totalmente in balìa della propria ispirazione oscura. E la materia di cui è composta la vela, oltre a richiamare il foglio sul quale scriviamo, allude anche al senso di precarietà della parola scritta.
27. La battaglia del poeta
Ma non è questa la sola battaglia del poeta, vale a dire quella combattuta per conservare, per non far deperire il proprio momento creativo, concretizzatosi nella poesia.
iI poeta combatte ogni giorno
l’umana materia della sua poesia,
lui che non prega
ma vorrebbe nutrirsi
di sostanza divina.
La sua battaglia è anche quella per far emergere, dalla rozza materia, l’anima della creazione. Ma, per sgomberare il campo da improprie implicazioni religiose, la creazione poetica è raffigurata laicamente (“lui che non prega”). In realtà, per coloro che scrivono, la sostanza divina è semplicemente lo spirito, l’anima delle cose, la loro essenza e, in definitiva, la loro raggiunta perfezione, dal momento che l’intenso desiderio del poeta è quello che la parola (la materia) sia il più possibile aderente allo spirito del suo pensiero.