VECCHIE DOMANDE SUL “NUOVO” NUCLEARE di Letizia Gariglio
La nostra generazione ha vissuto nell’età adulta una tremenda tragedia nel corso del Novecento, quando a Chernobyl accadde un tremendo incidente, avvenuto il 26 aprile 1986. Ne fummo profondamente segnati. L’onda emotiva che ne seguì bastò a produrre una vasta consapevolezza circa la pericolosità degli impianti nucleari e la produzione di energie di tipo nucleare. In Italia la conseguenza fu immediatamente registrabile con il risultato dei referendum abrogativi del 1987: si votò allora per cinque referendum, tre dei quali riguardavano il nucleare. In realtà nessuno dei tre quesiti chiedeva l’abolizione o la chiusura delle centrali nucleari, tuttavia in seguito alla vittoria dei «sì» la conseguenza fu, nel nostro paese, la dismissione progressiva delle centrali. I risultati si asseverarono poi, in seguito al referendum del 2011, che prevedeva l’abrogazione delle norme che consentivano la produzione nel territorio nazionale di energia elettrica nucleare.
Per molti anni presso l’opinione pubblica il discorso sul nucleare è rimasto assopito, senza che molti si rendessero conto di avere a che fare con un enorme serpente arrotolato in apparente condizione di riposo. La dismissione delle centrali ha riguardato peraltro solo l’Italia, mentre i paesi limitrofi hanno finora continuato a produrre, a una manciata di chilometri dalle nostre case, l’energia nucleare. Fatto sta che ora in Italia il dibattito sull’argomento si è riacceso.
Nel frattempo il modo di produrre energia nucleare è molto cambiato. Ora si assicurano soluzioni efficaci per lo smaltimento delle scorie, che sono divenute riciclabili, a parere dei sostenitori del nucleare.
Si ha oggi una certa consapevolezza che le energie rinnovabili, quella solare e quella eolica, non sono in grado di coprire il fabbisogno: la produzione è intermittente, in dipendenza da sole e vento ed è indispensabile l’immagazzinamento dell’energia prodotta. Inoltre, ad esempio, il fotovoltaico genera altri problemi-di smaltimento. Ma lo spauracchio che rimane fondamentale è il rischio di proliferazione nucleare. Oggi tuttavia sono presenti in Italia gruppi di fisici e ingegneri convinti che non possa avvenire una transizione energetica senza una stretta collaborazione del nucleare con le energie rinnovabili. Ci spiegano che il nucleare non è, malgrado tutte le nostre percezioni, pericoloso, ci blandiscono narrandoci che le centrali nucleari non esplodono, non possono esplodere: nemmeno il reattore 4 di Chernobyl è esploso, è avvenuta invece un’emanazione di vapore saturo che ha scoperchiato il nocciolo e ha causato una contaminazione radioattiva (non una reazione a catena incontrollabile di fissione). Gli scienziati non possono però non ammettere che una dispersione di radiazioni sia in ogni caso un evento molto pericoloso. Oggi i reattori nucleari in sperimentazione sono di quarta generazione, le centrali sono più piccole e i reattori saranno in grado di ottimizzare i rifiuti del nocciolo del reattore, diminuendone sia la quantità che i livelli di tossicità radiologica.
Nei paesi europei, l’atteggiamento nei confronti del nucleare è duplice e vede i paesi divisi fondamentalmente in due grandi blocchi: quelli a favore e quelli contrari. Tra quelli contrari vi è stata fino a ora, ovviamente, l’Italia, dove le quattro centrali nucleari che erano precedentemente presenti sono state chiuse nel 1987 e da allora non sono state aperte nuove sedi; vi è inoltre la Spagna, dove nel ‘23 è stato previsto lo spegnimento delle cinque centrali operative – spegnimento che dovrà avvenire entro il 2035; una situazione simile si verifica anche in Germania, dove nel ‘23 sono stati chiusi gli ultimi tre reattori dopo sessant’anni di attività: la Germania, infatti, ha deciso di rinunciare all’energia nucleare. Gli Stati Uniti sono il paese che produce fino ad oggi più energia elettrica di origine nucleare, seguono in ordine la Cina, la Francia, la Russia, la Corea del Nord e il Canada. Il Regno Unito possiede 125 reattori nucleari operativi e quindi, in questo senso, precede gli Stati Uniti che ne ha 99; la Francia è il paese al mondo che produce maggiore energia attraverso il nucleare per un totale del 55% di energia. Vi sono programmi in Cina, in Russia, India, Stati Uniti e Paesi di nuova industrializzazione come l’Egitto, la Turchia e gli Emirati Arabi, per la costruzione di nuove centrali nucleari.
Subito dopo il discorso del ministro Pichetto dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, a favore del nucleare, sono intervenute le associazioni ambientaliste, tra cui il WWF Italia, a spiegare come loro ritengano che il nucleare renderebbe ancora più cara l’energia elettrica: bisognerebbe infatti aggiungere i costi di smantellamento delle vecchie centrali nucleari, i costi di bonifica dei siti nucleari contaminati, i costi di gestione dei rifiuti radioattivi generati dalle barre del combustibile nucleare esaurito; inoltre, l’energia elettrica generata con i reattori modulari più piccoli, proposti per l’Italia e che ancora non sono stati costruiti in nessun paese occidentale, costerà di più di quella prodotta dai reattori più grandi; WWF definisce insensato un possibile ritorno al nucleare in Italia, soprattutto perché non terrebbe conto dei pronunciamenti referendari.Anche Green Peace interviene nella discussione e dichiara: «L’energia nucleare ha costi insostenibili, è pericolosa e genera enormi quantità di scorie radioattive che non possiamo smaltire. Solo le fonti rinnovabili possono fermare il cambiamento climatico, fornire energia pulita e porre fine all’incubo nucleare». Rammentano l’incidente di Fukushima seguito a quello di Chernobyl, quando enormi quantità di radiazioni furono rilasciate, centinaia di migliaia di persone furono costrette all’evacuazione, vennero contaminati fiumi e foreste, divennero inabitabili aree estesissime e vi furono danni economici incalcolabili. Dicono: «Incidenti del genere hanno chiarito in modo evidente che questa tecnologia non può essere controllata in caso di catastrofe». Adducono anche ragioni economiche, dichiarando: «A dissuaderci dal ritorno al nucleare dovrebbe bastare il fatto che si è rivelato un fallimento economico sia in Francia sia negli Stati Uniti. I costi dell’impianto francese di Flamanville sono levitati a 19,1 miliardi di euro, invece dei 3,3 miliardi stimati, mentre due dei quattro reattori in costruzione negli USA sono stati cancellati e gli altri due proseguono a costi esorbitanti, da circa 9 miliardi di dollari si è già passati una stima di circa 32 miliardi. Non è andata meglio ai due reattori di Hinkley Point in Gran Bretagna che dovevano costare 18 miliardi miliardi di sterline e oggi sono stimati a 46 miliardi».