INCONTRO IMPOSSIBILE A PISA di Pietro Paolo Capriolo (P. P. Roe)
«Maestro Fibonacci, grazie per avermi dato appuntamento proprio qui, nella piazza detta “dei miracoli” che è patrimonio dell’Umanità dal 1987. Per la verità, la segretaria dell’Agenzia m’aveva indicato un prato e, memore dei precedenti depistaggi e scherzi, ho sospettato volesse confondermi con il Campo dei Miracoli di Pinocchio. Devo ammettere che invece citava addirittura il D’Annunzio che proprio “Prato dei miracoli” definì questo luogo così meravigliosamente ricco d’arte».
«Eh, al personale di segreteria si devono diversi errori per trascuratezza e a volte per invidia, però in genere è per la loro dedizione che i grandi uomini spesso evitano di cadere in errori e dimenticanze».
«Sì, mi permetta di annoverarla fra questi grandi personaggi. Sa? Non è da molti decenni che il suo nome compare nei libri della scuola primaria. Un altro Leonardo, fra i geni italici, si prende la parte del leone. Quello da Vinci ha perfino un supercomputer a lui dedicato, il DAVINCI appunto, che è in grado di elaborare miliardi di operazioni al secondo…»
«La fermo subito. Se vuole ingelosirmi è fuori pista. In quanto ai ragazzini della scuola, mi compiaccio di risultare loro simpatico. Non tanto per l’unica mia immagine che mi ritrae sorridente e bonaccione “non per nulla di cognome faccio Bonacci!”, ma perché mi vedono un po’ come loro alleato nell’alleggerirli dalle pene del calcolo».
«Proprio così. Nel tratteggiare poche notizie di storia della matematica a lei si fa cenno per l’introduzione di una vera e propria rivoluzione, come quella copernicana di secoli dopo. Ma quando scrisse il suo Liber abaci, davvero pensava a rivoluzionare le tecniche di calcolo del mondo occidentale o semplicemente era mosso da interessi commerciali?»
«Ai miei tempi, ma anche in seguito fino alla prima calcolatrice meccanica del giovane Pascal, i conteggi si facevano davvero a mano. Gli abacisti, fino ai miei tempi, muovevano pedine colorate su tavole fessurate di legno ed eseguendo mentalmente facili conti. Io introdussi il calcolo decimale scritto, secondo rigide regole di posizione delle cifre, un po’ come nelle vostre onnipresenti tabelle».
«Il suo sistema non ebbe inizialmente molto successo. I contabili dell’epoca erano velocissimi nel maneggiare le pedine e tennero testa ai suoi seguaci. Addirittura, tirarono in ballo motivi religiosi».
«Sì, perché i simboli da me adottati e promossi già erano in uso nei paesi di fede mussulmana. Veramente sono di origine indiana, però si diffusero con il nome di numeri arabi. La grande novità fu l’introduzione di un nuovo simbolo per indicare la non quantità che è un’esigenza non concepita nella numerazione romana: lo zero. Anche qui ci fu un po’ di confusione con la terminologia marinaresca e con il vento zefiro, ma poi ce l’abbiamo fatta».
«La sua vocazione per la matematica nasce da motivi speculativi o pratici?»
«Pratici, senza dubbio. Mio padre Bonacci era l’addetto commerciale di Pisa ad Algeri e proprio là ho appreso i rudimenti di calcolo e dell’algebra da precettori arabi. Sempre esercitando la mercatura, in Egitto e in Siria ho intrattenuto rapporti con matematici mussulmani. Tornato a Pisa, nel 1202 ho voluto pubblicare le mie esperienze. Pensi che ero talmente abituato al loro metodo di scrittura da destra a sinistra che, a rileggere ora i simboli che ho divulgato, mi accorgo che nel mio libro essi vanno in decrescendo, da 9 ad 1, più lo zero naturalmente».
«Poco fa lei ha confermato il suo cognome Bonacci. Quel Fi che lo precede è l’abbreviazione di figlio di Bonacci, un’attestazione di stima nei confronti del suo genitore. Ne è risultato quasi un cognome nuovo. Ma lei è noto forse ancor di più come Leonardo Pisano».
«Vero e ne vado orgoglioso. È una cosa reciproca nei rapporti con la mia città cui ho dato lustro».
«Però non è solo per la sequenza 9…1 che lei è famoso. Il nome Fibonacci è legato ad una felice intuizione, certamente frutto di attenta osservazione della natura…»
«Lasci che lo dica io. I cosiddetti “numeri di Fibonacci” sono: 0-1-1-2-3-5-8-13-21-34-55… A partire dal terzo della sequenza, ognuno è la somma dei due che lo precedono. Questa caratteristica ricorre nella disposizione dei petali dei fiori, ma anche nei carciofi, nei girasoli, nelle pigne, ecc.».
«Chissà in quanti prima di lei, mangiando carciofi e sfogliando margherite ne hanno avuto l’opportunità, eppure non si sono accorti di nulla o non hanno pensato ad una precisa legge di natura. È stata un’occasione fortunata la sua e ne ha tratto la famosa regola».
«Sì, non sono stato certamente il solo, ma io ho saputo sfruttare la scoperta».
«Può ben dirlo! Addirittura, organizzando una gara di calcolo per dimostrare la bontà del suo metodo, nientemeno che alla presenza dell’imperatore Federico II di Svevia».
«Già, lei allude al famoso quesito sui conigli. Quella volta, l’alloro non finì nella pentola per cucinare il mio piatto preferito, ma servì ad incoronarmi davanti ai miei concittadini».
«Che, anche per il lustro dato a Pisa e certo per i suoi indubbi meriti nel favorire il commercio le assegnarono anche un vitalizio e la nominarono sapiens magister. Mi perdoni la sfrontatezza, però oggi quel quesito sarebbe degno del… premio IGNOBEL».
«Sarebbe a dire?»
«Ci sono studiosi che per diletto sprecano il loro ingegno e magari anche finanziamenti pubblici in ricerche futili. Vuole un esempio? Andrej Gejm fu insignito di questo caricaturale premio nel 2000 per aver fatto levitare una rana viva in un campo magnetico. Però, a dirla tutta, lo stesso Gejm dieci anni dopo vinse il premio Nobel (quello vero!) per la scoperta del grafene. L’unico ad averli tutti e due: uno scienziato di vaglia, a tutti gli effetti».
«Ma lei cosa osa contestarmi?»
«Vede, io non contesto la sua scoperta, ma che abbia proposto la sfida, un bruto esercizio di calcolo, su presupposti scientifici errati che violano le stesse leggi della naturale riproduzione animale. A beneficio dei miei lettori mi permetta di riassumere il problema. Partendo da una coppia di coniglietti appena nati, dopo un anno, quanti conigli si avranno, distinti per coppie, adulti e cuccioli? Regole del gioco: in un mese i piccoli sono già in grado di riprodursi; ogni cucciolata è sempre composta da un solo maschio e da una sola femmina, nessun animale è sterile, né muore nel frattempo e le madri restano immediatamente gravide dopo il parto. Non è prevista la poligamia. Ho detto bene?»
«Proprio così. Cosa c’è che non va?»
«Non mi prenda per il tipico bacchettone che vede rapporti incestuosi perfino fra i coniglietti; c’è ben altro. Caro signor Leonardo: natura non facit saltus, come forse già si diceva ai suoi tempi. Vabbè che il coniglio è un animale molto prolifico, ma non miracoloso. Il suo quesito elude ogni regola di pratica zootecnica. È sì un bel gioco di enigmistica, però assurdo. Le concedo, al massimo, che la difficoltà non stia tanto nel calcolo (un ragazzino può benissimo arrivare all’ottavo mese, forse al nono, semplicemente con calcoli mentali), ma nel figurarsi la complessità della situazione. Starei per dire che nessuno di quei 466 conigli finali gli scappi dal recinto…»
«Come dite voi moderni, Touché! oppure, Tanto di cappello! Vuole che mi tolga la corona d’alloro?»
«No, per carità, maestro! Lasciamo perdere questa “come dire?” caduta di stile. Se lo spunto è stato nell’osservazione della natura, la sua sequenza va oltre i fiorellini ed i semi dei girasoli o le spirali nelle conchiglie dei gasteropodi come quella bellissima del Nautilus. Viene utilizzata da architetti e designer per le progettazioni delle loro opere, dagli analisti della finanza per prevedere movimenti futuri dei prezzi, in informatica con vari algoritmi…»
«Con la serie che porta il mio nome ora si spiega meglio ad esempio l’intuizione di Fidia, la sezione aurea o numero d’oro (ɸ) nelle proporzioni. Forse non ci fa caso nessuno, ma la tessera del bancomat che anche lei ha in tasca, nelle sue dimensioni, si ispira proprio ad essa. Ah, da uomo della finanza, non le dico quanto la invidio di vivere nel terzo millennio per il non doversi portare dietro il peso di borse piene di monete!»
«Lei è ricordato non soltanto nelle applicazioni matematiche. Per esempio, a Torino, sulla mole Antonelliana, l’artista Mario Merz nell’anno 2000 collocò una luminosa opera intitolata il “Volo dei numeri” con la sequenza dei suoi numeri. Ora mi tolga una curiosità. Su questa piazza ricca di meraviglie sorge la torre pendente che ha richiesto quasi duecento anni di lavoro. Avrà curiosato presso il cantiere iniziato nel 1173 e visto gli operai, i capomastri, gli scalpellini… Potrebbe dirmi chi ne è l’architetto? Si fanno diverse congetture…»
«Ammetto che sarebbe uno scoop sensazionale la mia testimonianza, ma andremmo incontro ad un salto temporale che poi lei stesso dovrebbe condannare. Le confido una mia ipotesi: il Diotisalvi già stava lavorando al vicino magnifico battistero e l’unità di stile per cui gliela attribuiscono poteva essere imposta a qualsiasi altro progettista dagli stessi committenti della torre/campanile. Dal Vasari in poi, si fa il nome del Bonanno e, se non sbaglio, avete anche ritrovato nell’Ottocento un’epigrafe scolpita su pietra usata per le fusioni in bronzo che poi è stata murata all’ingresso del monumento. Lì si fa il suo nome. Non le posso dire altro».
«Ammiro la sua prudenza, questa volta…»
«Per forza! Sarà per la sua impertinenza o per il posto in cui ci troviamo. Non per nulla proprio qui veniva Galileo, che allora insegnava matematica nella nostra università, a fare i suoi esperimenti sulla caduta dei gravi che dettero origine al nuovo modo di fare scienza. Arrivederci. No, addio. Proprio non la voglio incontrare più!»