VIAGGIO DI UN TARLO IN UN’OTTAVA racconto di Letizia Gariglio (Settima Parte)
Stremato si abbandonò prono su FA. Tutte le membra gli dolevano. Tese le orecchie ai rumori della casa, per ascoltare cosa stesse avvenendo intorno a lui. Tutto taceva. La notte era calata su di lui, sugli altri abitanti della casa, e anche sul pianoforte che lo ospitava. Non si accorse neppure di essere scivolato in un lungo sonno ristoratore. Se ne rese conto solo al mattino, quando la casa si rimise in movimento. L’attenzione di Carlo si era risvegliata con i profumi di caffellatte, con le sveglie che nelle camere da letto avevano suonato, con la luce del sole che aveva raggiunto il pianoforte con il coperchio sollevato. Aveva molto timore. Si tranquillizzò solo quando pensò che tutti gli abitanti della casa fossero usciti. Era una bella giornata luminosa, la superficie delle piattaforme del pianoforte si stava riscaldando al tepore del sole. La stessa piattaforma su cui lui aveva trascorso la notte sembrava brillare alla luce; Carlo notò che era lucida e liscia: molto diversa dal torroncino.
Mentre si aggirava con cautela sentì che qualcuno infilava la chiave nella toppa. Si irrigidì a causa di una paura mortale e contemporaneamente fece un acrobatico salto all’indietro. Era stata un’azione così rapida e così audace che aveva in un colpo solo saltato la collina nera e raggiunto il tasto del SOL.
«Chi sarà entrato?», si chiese, terrorizzato che potesse trattarsi del restauratore assassino.
Era il giovane maialino di casa che, non abbastanza soddisfatto del panino con nutella che sua madre gli aveva preparato, era tornato indietro per procurarsi anche una scatola di biscotti da portarsi a scuola. Andò direttamente verso la dispensa in cucina. Trovò i biscotti e se li mise sotto braccio. Si avviò verso la porta. Poi cambiò idea ancora una volta. Si diresse nuovamente verso la cucina dove acchiappò un sacchetto di patatine. Decise di strafogarsi subito con le patatine, non visto da sua madre. Per lui però era già troppo difficile tenere i biscotti con una mano e aprire il sacchetto delle patatine con l’altra, così decise di appoggiare da qualche parte la scatola di biscotti. Il pianoforte gli sembrò il luogo ideale. La tastiera era esposta senza coperchio, mollò sopra i tasti i biscotti e si diede da fare a strappare con i denti il sacchetto di patatine: non aveva tempo per fare un lavoro più accurato. Poi piegò la testa all’indietro, spalancò la bocca e lasciò cadere in quel suo pozzo senza fine una considerevole massa di patatine. Per quanto abituato a ospitare in quella sua bocca spalancata dosi spropositate di cibo, questa volta il ragazzino aveva esagerato. Tossì convulsamente, sputacchiò da tutte le parti briciole di patatine, tossì ancora, poi finalmente andò a bersi un bicchiere d’acqua.
Sparate in tutte le direzioni, le patatine si distribuirono equamente fra pavimento, tappeto e, naturalmente, tastiera del pianoforte, dove si erano depositate sotto forma di polvere fra un tasto e l’altro, quasi chiudendo le articolazione dei tasti. Carlo si chiese se altri pianoforti al mondo fossero abituati a simili trattamenti. A lui però non era andata troppo male. Le briciole di patatine avevano praticamente formato un’unica superficie, che comprendeva tasti neri e tasti bianchi.
SOL si era unito al suo nero diesis, al successivo LA, al LA diesis, raggiungendo anche il SI.
I successi da esploratore avevano ringalluzzito Carlo il Tarlo, che ora era pronto a tirarsela. Ma, siccome proprio sciocco non era, veniva spesso assalito dal dubbio che il cacciatore di tarli tornasse a tormentarlo. Faceva bene a stare all’erta, perché in uno dei giorni seguenti fu costretto a riconoscere la sua voce. Si era presentato alla porta di casa con borse, bauli e bauletti: un’attrezzeria che qualunque artigiano gli avrebbe invidiato.
«Ho portato tutto il necessario con me, signora», sentì che scandiva a alta voce. «Siamo pronti a eliminare i tarli per sempre. Ecco, qui ho l’essenza di permetrina».
Carlo capì subito che quella sostanza era il potente veleno con cui volevano eliminarlo dal pianoforte e forse dalla terra. Non aveva tempo per cercare un nascondiglio adeguato. Scivolò verso una delle voragini che tanto temeva, si aggrappò con le zampe anteriori al piano del tasto e pregò di non essere visto. L’uomo avanzò verso il pianoforte, lo scoperchiò e iniziò con un compressore a soffiare tanta aria nei buchi che il tornado provocato pochi giorni prima dal naso del ragazzino al confronto sembrava un po’ di brezza. Carlo fu tragicamente spinto dai venti del compressore verso il basso, verso il fondo.
Poi l’uomo cominciò a infilare una siringa puzzolente nei cunicoli dove lui fino a qualche tempo prima aveva vissuto. Agiva meticolosamente, cercando di fare in modo che nessun buco gli sfuggisse. Allora, come non bastasse, con cera e spatola chiuse tutti i cunicoli. Infine impacchettò tutto il pianoforte in una pellicola di plastica trasparente:
«Se qualche tarlo è rimasto vivo, privandolo dell’aria domani non lo sarà più», sentì che diceva. Aggiunse: «Se lei avesse qualche dubbio sui risultati del trattamento, sappia che abbiamo una macchina portatile per cuocere i tarli al microonde».
Fu solo allora, all’idea di essere cotto al microonde, che Carlo si sentì morire. Non riusciva più a respirare. Per la paura? Per la reale mancanza d’ossigeno? Pensò che la sua vita sulla terra del pianoforte era finita per sempre, il suo tempo era finito per sempre. Non era sicuro di aver fatto tutto ciò che in questa vita avrebbe potuto fare. La vita sfuggiva e a lui sembrava di esservi solo affacciato, non gli pareva di aver completato la sua esperienza. Era davvero tutto finito?
L’uomo aveva completato il suo lavoro da killer. Aveva rimesso in ordine i suoi attrezzi e se ne stava andando. La signora aveva pagato l’uomo per il suo drastico intervento, ora si attardava a confabulare ancora un po’ con lui sulla soglia, mentre lo accompagnava; non visto il giovane Homer di casa si avvicinò quatto quatto al pianoforte. Non voleva farsi vedere da sua madre, che come sempre l’avrebbe sgridato.
«A proposito, signora», stava aggiungendo l’uomo «non lasci banchettare suo figlio sul pianoforte: c’era di tutto in quei tasti, dalle patatine alla cola. Lo credo che poi arrivino i tarli».
Le ultime parole non erano piaciute per niente al ragazzino, che pensava: «Di cosa si impiccia, quello?» E fu preso da un moto di rabbia. Così strappò il foglio di plastica trasparente, infilando un dito dentro, e lasciò allo scoperto un angolo della tastiera.
L’aria raggiunse il povero coleottero nel momento in cui aveva quasi perso conoscenza.