FLEXIMANIA di Pietro Paolo Capriolo (P. P. Roe)
Anno 1974. Sotto la regia di Michael Winner e prodotto da Dino De Laurentis, esce nelle sale cinematografiche il film drammatico poliziesco “Il giustiziere della notte”. Il protagonista Paul, interpretato da Charles Bronson, dapprima animato da sentimenti di vendetta contro chi gli ha ucciso la moglie e stuprato la figlia in una rapina finita malissimo, è mosso successivamente da anelito a sostituirsi all’impotenza della polizia per fare giustizia immediata a favore di tutte le vittime dei criminali.
Lo spettatore è combattuto da opposte pulsioni: patteggiare per lui, a prescindere, identificandolo con l’angelo s terminatore dei primogeniti d’Egitto nella notte prima dell’esodo, oppure coltivare il buon seme che non ci si può fare giustizia da sé, a costo di apparire falliti. Il giustiziere solitario ha dalla sua parte la simpatia della popolazione e anche di alcuni dirigenti della polizia. L’epilogo della pellicola giunge ad un compromesso tra il giustiziere e l’ispettore che lo ha braccato: abbandono della città, in cambio dell’interruzione delle indagini. Paul accetta, ma è veramente convertito o riprenderà? Si può pensare qualunque cosa, perché alla vista dell’ennesima aggressione, egli con le dita mima il gesto di sparare con la pistola.
Perché ho voluto rievocare questo celebre film? Per tentare di interpretare un fenomeno di questi tempi: la figura di Fleximan (l’uomo con il flessibile), sempre che di un solo individuo si tratti.
Cominciamo dal nome. Esso deriva dallo strumento elettrico munito di mola da taglio che, dai primi modelli, è detto semplicemente e per antonomasia “il flessibile”. Alla portata di tutti, diffusissimo nelle diverse versioni a batteria o meno, si può dire che compaia nella cassetta degli attrezzi di ogni artigiano e bricoleur. Dalla qualità di disco montato, è in grado di tagliare mattoni, cemento, pietra, acciaio in poco tempo. Con la giusta protezione di mani ed occhi, si rivela un prezioso attrezzo atto a risolvere problemi di demolizione e riduzione di ostacoli. In dotazione ai vigili del fuoco per tranciare bulloni, lucchetti, tagliare inferriate che ostacolano il loro prezioso intervento, ma ahimè anche utilizzato da chi si erge a vindice di presunto abuso amministrativo sanzionatorio delle infrazioni stradali.
Con esso le telecamere collegate alla centrale di polizia municipale, piazzate su tubolari d’acciaio a bordo strada in luoghi strategici, vengono abbattute con taglio alla base, quali alberi malati da tagliare. Il danno si estende alle ottiche che nell’urto con il suolo vanno in frantumi o perdono la giusta calibratura. Prima che apposite delibere e reperimento di fondi possano rimpiazzarle, gli automobilisti godono di relativa licenza d’infrangere il codice stradale.
Non credo però che la sola certezza di non essere perseguiti stia alla base dell’operato di Fleximan, dei suoi emuli e simpatizzanti. C’è di sicuro una componente psicologica che indulge ad autoassolversi, anzi a considerarsi meritevoli di stima per una rivendicazione riparatrice. Faccio un paragone che in qualche modo, pur sproporzionato, mi pare dia una spiegazione di tale comportamento.
Quando le battaglie si combattevano all’arma bianca ed anche i duelli nel mitico Far West tra bandito e sceriffo si basavano sulla destrezza nell’estrarre il revolver, prendere la mira e sparare, i contendenti erano pressoché alla pari. Anche gli scontri a cavallo nelle giostre medievali fra cavalieri dai ferrei bagliori delle armature e pur con la celata calata sugli occhi presupponevano uno scontro viso a viso.
Ora invece siamo in una situazione altamente tecnologizzata, simile a quella del pilota di drone che a distanza di chilometri indirizza l’ordigno sul nemico che neppure intravede, perché nel carrarmato, in caserma o nel deposito di munizioni. Un addestramento finalizzato a questo scopo può far apparire ogni missione non dissimile da una sezione di videogioco. Tragico, ma c’è pure il “vantaggio” di non dover subire poi le conseguenze di quella particolare forma di stress denominata burnout che perfino gli aguzzini dei lager vollero evitare, demandando ad unità speciali di deportati (sonderkommando) compiti altamente strazianti presso camere a gas e crematori.
Nel subcosciente dell’autoproclamata vittima di persecuzione sanzionatoria, forse lo stereotipo del vigile urbano è ancora quello interpretato da Alberto Sordi quando smonta dalla pedana da dove ha diretto il caotico traffico milanese. Nossignori, no! Per costoro non può essere l’anonimo impiegato in divisa che alla scrivania analizza i filmati preselezionati da apposito software, individua la targa ed appioppa al malcapitato la multa poi recapitata a casa per raccomandata.
L’auto, per molti italiani, rappresenta anche un valore affettivo, è come una protesi di sé, una meccanica creatura di famiglia in costante pericolo d’essere sorpresa in divieto di sosta o di permesso scaduto, in balia di “cacciatori di taglie” o ausiliari del traffico che nemmeno si scomodano a stilare un verbale, ma fotografano ed inviano la prova alla centrale. Cito un mio caso di diversi anni fa, comico e kafkiano al contempo. Fino al venerdì precedente m’ero servito di un parcheggio in zona blu. Nella tarda mattinata del successivo lunedì, tornando con lo scontrino pagato da apporre dietro il parabrezza, mi ritrovo sotto il tergicristallo la multa per divieto di sosta. Sulla palina l’indicatore tariffario era stato sostituito da poche ore con il cartello di divieto. A nulla valse la contestazione con il vigile: «Ciò che conta è il segnale stradale, non la vernice blu che non abbiamo ancora provveduto a cancellare!» Se fossi stato un abile disegnatore, avrei rappresentato la mia reazione con il fumetto dalla classica nuvoletta infarcita di simboli d’ira, vale a dire: pugnali, bombe a mano, teschio e tibie incrociate. Nulla di più però, perché dura lex, sed lex.
Bravi vignettisti invece hanno già pubblicato in Internet icone idealizzate di Fleximan in tuta da supereroe, che imbraccia l’attrezzo rotante con tanto di scia di scintille nel buio della notte o addirittura mentre impugna una spada da samurai.
Qualcuno ipotizza comitati di sostegno con tanto di spese legali qualora venga individuato ed accusato. C’è insomma un tifo sommerso ma pure esplicito per il distruttore di Autovelox. Intorno a lui si coagulano sentimenti latenti in troppi, convinti che le installazioni non siano altro che un comodo metodo per fare cassa, più che una dissuasione ed uno strumento per garantire la sicurezza di tutti, automobilisti compresi.
Fleximan è dunque un vandalo o un eroe, uno Zorro a centinaia di rombanti cavalli a vapore, un Robin Hood anti-vessazione da multa per eccesso di velocità? Vandalo sì, che agisce con il favore delle tenebre, ma magari in fondo in fondo al cuore di tanti di noi una scintilla di simpatia l’ha accesa, perché rappresenta anche un segnale di stanchezza degli italiani, pure di chi lo disapprova, per lo stato di manutenzione delle strade, delle buche che rispuntano come le teste dell’idra mitologica, dei cavalcavia pericolosi, dei ponti che crollano, dei guardrail fatiscenti, degli schiamazzi fino a tarda notte, del diffuso senso d’insicurezza ad avventurarsi per certe zone di notte e di giorno…