ICEMAN di Pietro Paolo Capriolo (P. P. Roe)
Ufficio agenzia interviste impossibili
«Signora segretaria, quale onore incontrarla di persona e non sentirla soltanto al telefono. Come mai?»
«L’ho convocata qua, perché ho un bel problema. Mi spiego meglio. Come ben sa, noi siamo un’affiliata dell’I.I.I.A. (International Impossibles Interviews Agency). Da loro riceviamo suggerimenti, inviti e pressioni a svolgere i nostri servizi. L’altro ieri, dopo aver inviato le relazioni ed i testi delle nostre interviste, ricevo il pressante invito ad occuparci dell’uomo di ghiaccio, o almeno credo intendessero dire così con la parola ICEMAN. Dopodiché il fax ha smesso di funzionare ed il resto del messaggio con le dovute caratteristiche e modalità d’incontro me lo sono perso. Oltretutto, in allegato ci sono sempre le credenziali per l’accredito al traduttore interculturale sincrono che permette la comunicazione con chiunque ci tocchi incontrare.»
«Se ho ben capito, lei non ha la minima idea di chi dovremmo contattare e per di più non ha le modalità per far sì che l’incontro avvenga fruttuosamente.»
«Sì, mi costa ammetterlo, ma è proprio così. Sono disperata…»
«E provare a richiedere la ripetizione della comunicazione?»
«Ci ho pensato subito anch’io, poi prudentemente ho pensato: “E se non si trattasse di un semplice guasto, di un inconveniente tecnico?”. Magari siamo sotto attacco di un’agenzia concorrente. Oppure, azzardo perfino l’ipotesi, non sarà mica che la stessa I.I.I.A. voglia testare la nostra capacità di cavarcela? In fondo la parola impossibile non può restare solo nella nostra sigla, ma dev’essere nel nostro stesso DNA.»
«Quindi deve riuscirci comunque, dico bene? E avrebbe pensato proprio a me per questo?»
«Mi rendo conto che qualche volta l’ho un po’ canzonata, creandole aspettative dubbie come nell’incontro con il fossile Lucy o facendola conversare non con una vera persona, ma con un manufatto dall’apparenza animata, vedasi il diavoletto di Cartesio. Ho però sempre ammirato il modo di venirne fuori alla grande. Le chiedo scusa, anche se in ritardo. La prego di aiutarmi…»
«Confesso che qualche maledizione gliel’ho tirata, ma non credo di avere addirittura il potere di bloccare il funzionamento di un fax. Dunque, diamoci da fare.»
«Ma vuole coinvolgere anche me?»
«Per intanto, lo è già e poi lei conosce cose che io non so. Per cominciare, quelli dell’I.I.I.A. fissano in assoluto i temi, i tempi storici, le modalità d’intervento e quant’altro o abbiamo una certa elasticità (che, per inciso, non mi ha mai rivelato!) di azione?»
«Questa, è vero, ce l’abbiamo, purché si resti nell’alveo delle loro aspettative.»
«Allora siamo a cavallo!»
«La fa tanto facile lei… Non ne abbiamo la minima idea; non sappiamo a chi rivolgerci, non conosciamo tempi, circostanze, motivazioni: niente!»
«Meglio così, non ci sentiamo vincolati.»
«Ma la parola iceman non mi suggerisce nulla: non riesco a pensare nemmeno ad un esquimese davanti al suo igloo, io!»
«Ed invece no, c’è già riuscita: un personaggio per lo meno se l’è raffigurato. Anonimo, molto banale e che non suggerisce una pista praticabile però è già frutto dell’immaginazione. Questa è la nostra arma segreta.»
«Prima mi elogia, poi subito stronca il mio pensiero: una pista impraticabile… Vendicativo eh? Ma lei ce l’avrebbe un’idea?»
«Addirittura due.»
«Esagerato! Bastava una, ma buona.»
«Vedrà che il successo dipende proprio dal fatto che le alternative siano due. Lei continui a simulare la colpa di avermi messo in imbarazzo e riusciremo a fingere di aver condotto l’intervista per davvero sulla scia di altre già fatte.»
«Sentiamo: chi mai sarebbero costoro?»
«Uno è praticamente frutto di pura fantasia, ma migliaia di persone lo ritengono veramente esistente e al riguardo ci sono pubblicazioni, falsi reperti, film, fumetti e altro. Mi riferisco all’abominevole uomo delle nevi, lo Yeti.»
«Ma dai! Di materiale ce n’è parecchio in merito. E chi sarebbe quell’altro?»
«Questo risiede in un vero museo a Bolzano, praticamente dedicato soltanto a lui: l’uomo preistorico conservato nel ghiaccio da oltre cinquemila anni.»
«Una vera creatura cui potremmo far dire con parole proprie cose che sono frutto di studi degli antropologi. Bravo! E io come posso aiutarla?»
«Per prima cosa, stando al mio gioco di progressiva disambiguazione dell’incarico, parecchio vago, d’intervistare l’uomo che sta bene solo al freddo. Dovrò per forza prendermela con lei ed accusarla di crudeltà mentale per volermi mettere in difficoltà. Poi conto sulla sua capacità di trascrizione dell’intervista, come personale segretaria dattilografa. Questo proprio non può negarmelo.»
«D’accordo. Come intende procedere?»
«Le anticipo che l’intervista è rivolta alla rarissima mummia umida della Val Senales, ma fingerò che lei mi abbia dato informazioni vaghe, facendomi prima credere che il target fosse l’uomo delle nevi. Pronta con il registratore? Io farò entrambe le voci.»
«Sì, cominciamo.»
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«Salve, signor Ötzi, come va? È abbastanza fresca la sua cella? Qui fuori è una bella giornata autunnale, con una temperatura incredibilmente piacevole. Saranno i cambiamenti climatici… Pensi che, venendo quassù, in auto ho perfino inserito il condizionatore dell’abitacolo! Eh… non ci sono più le stagioni di una volta! Questo lo diciamo tutti ormai, specialmente quelli che hanno trascorso l’infanzia nell’altro secolo: figuriamoci lei che arriva dall’età del tardo neolitico! Può ben dire: “Ai miei tempi…” anche in senso climatico, oltretutto.»
«Guardi che anche ai miei tempi c’era da fare attenzione non solo alla temperatura, ma pure ai falsi amici e alle indicazioni depistanti. Nell’attesa, l’ho sentita imprecare contro la sua segretaria per l’ambigua interpretazione di uomo che sta bene al freddo. Cosa mi dice in proposito?»
«Che stavo per recarmi sull’Himalaya alla ricerca di una creatura gigantesca, una specie di uomo-scimmia, un bipede che si nutrirebbe di muschio e licheni, ma potrebbe trattarsi anche di una varietà di orso.»
«Se l’avesse trovato e convinto a collaborare con la vostra civiltà ci sarebbe stato bisogno di procurargli ben più di una cella climatizzata come la mia, perché si sentisse a suo agio: addirittura un magazzino frigorifero, come quelli utilizzati per la conservazione delle mele di questa regione. Mi dica la verità: avrebbe avuto paura?»
«Sì. Pensi che pur non sapendo chi possa essere e come classificarlo, tutti usano l’aggettivo abominevole, parlando di lui. Dalle impronte che lascerebbe sulla neve fresca, qualcuno ha iniziato a chiamarlo anche Big Foot. Ci sono monaci tibetani che spacciano come suoi peli alcuni ciuffi di pelliccia d’orso. Nessuno è riuscito finora a documentarne l’esistenza con fotografie attendibili.»
«E come mai si è convinto che non potesse essere l’abominevole a concederle l’intervista? Magari ne avrebbe ricavato una di quelle fake news di grande successo dalle vostre parti.»
«Appunto. Ho una rispettabile fama di seria professionalità da difendere io! Eppoi, quella dispettosa segretaria alla fin fine mi avrebbe avvertito, perché il tiro mancino si sarebbe rivolto contro di lei stessa, rimanendo a mani vuote. L’intervista sarebbe risultata più che mai impossibile, assolutamente irrealizzabile.»
«Dunque, cos’è che l’ha convinta a venire da me?»
«Secondo quello che dicono, l’abominevole si sarebbe rifugiato su quelle impervie montagne per sfuggire alla cattura, ma io penso che (se mai esistesse) non potrebbe accontentarsi di quel regime alimentare e dunque vorrebbe abbandonare quel freddo habitat. Nel suo caso invece no. Se fosse esposto al nostro clima ben presto andrebbe incontro alla decomposizione. Quindi chi sta bene solo al freddo non può essere che lei.»
«Ottimo ragionamento. Confermo inoltre che in montagna bisogna potersi nutrire bene. Lei certo saprà che sono stato sottoposto ad attente analisi mediche condotte anche con sofisticati sistemi diagnostici. Per inciso, a Torino lo fanno con le mummie secche dell’Egitto, perché non farlo anche con me che sono una vera rarità? Il motivo è che, a parte qualche raro morso di animale, non ho subito l’asportazione di nessuna parte, compresi gli organi interni. Hanno frugato pure nel mio intestino ed è stato reso noto il mio ultimo pasto a base di carne di stambecco (Capra ibex, per l’esattezza) e cereali; altroché muschi e licheni!»
«Risulta che lei fosse in fuga, già ferito ad una mano e ormai privo dell’arco. In quei critici frangenti non poteva dedicarsi certo alla caccia. Come si è procurato quell’abbondante razione di carne?»
«Domanda ingenua! Perfino voi del terzo millennio, quando andate in gita in montagna, vi portate dietro energetici panini imbottiti. Si trattava di carne disidratata per affumicatura: un prototipo di speck, molto pratico e gustoso.»
«Che avrà faticato parecchio a masticare, con quella dentatura molto consumata. A proposito di denti, le mancano quelli del giudizio.»
«Anche fra di voi c’è chi non li ha mai sentiti spuntare. Adesso mi dirà pure che ho gli incisivi superiori distanziati. Mica potevo andare dal dentista a perfezionarmi il sorriso! Prima che lo dica lei, risulta che mi mancano anche le due ultime costole, cosa insolita che capita ancora adesso però.»
«E che abbia come ospiti interni dei parassiti…»
«Beh, le condizioni igieniche dell’epoca non si possono paragonare alle vostre. Voi ne siete ossessionati; specialmente durante la pandemia non facevate altro che disinfettarvi le mani.»
«Dalla decodifica del genoma, sappiamo ora molte cose sui suoi contemporanei e inoltre di lei conosciamo il gruppo sanguigno (zero positivo), che era intollerante al lattosio, che avesse in comune con noi il fastidioso microorganismo Helicobacter pylori, che avrebbe potuto andare incontro ad infarto o ad ictus e magari anche all’Alzheimer…»
«Argomenti troppo difficili per me. Dirò soltanto che il latte, dopo lo svezzamento, non era più consuetudine consumarlo. Piuttosto, perché non elogia il fatto che abbia raggiunto la bell’età di quasi mezzo secolo, quando la vita media arrivava a malapena alla trentina di anni?»
«Davvero una bella eccezione, forse dovuta al suo status sociale: sciamano, capo tribù o che?»
«Sapevo estrarre e lavorare i metalli. Era una qualifica molto importante e degna di privilegi. Lei dirà magari che non ci sono prove tangibili, ma pensi un po’ alle abbondanti tracce di fuliggine rinvenute nei miei polmoni ed al livello di arsenico nei tessuti. Non sono certo tipici di chi trascorre la vita all’aria aperta.»
«Se lo dice lei… Però mi pare molto verosimile. Sarebbe stato dunque un minatore e artigiano fabbro dell’età del rame. Tuttavia nella faretra del suo corredo ci sono ancora punte di freccia ricavate dalla selce che entrambi sappiamo essere facile da scheggiare per produrre arnesi molto taglienti.»
«Certo, le frecce potevano andare perdute quando non si colpiva la preda o questa, pur ferita, riusciva comunque a fuggire. Il metallo era troppo prezioso. Anche con quelle di selce non c’era però da scherzare. Lei non ha idea del grado di penetrazione delle nostre punte. Lo posso ben dire io che ho una scapola trapassata da una di queste rimastami dentro e che voi avete scoperto radiografandomi.»
«Già, questa è la causa vera della sua morte. Così sono state sconfessate le ipotesi dell’incidente, della tormenta improvvisa… La montagna del Similaun è divenuta di conseguenza un’autentica scena del crimine. Cosa mi può dire al riguardo?»
«Centrato alla schiena, a tradimento, mentre avanzavo sul ghiacciaio. Un tiro molto preciso e da lontano. Voi ipotizzate da una distanza di quasi cento metri.»
«Possibile? Corrisponde quasi al tiro di un nostro fucile da caccia.»
«Noi usavamo il legno di tasso per fabbricare l’arco. Come ben sa, ne avevo uno in allestimento dopo aver perso quello abituale e con tanto di cordicella in tre tendini ben ritorti. Ci voleva sì molta forza a tenderlo, ma poi scoccava la freccia, come direbbe lei, alla maniera di una fucilata!»
«Nella faretra, oltre ad una dozzina da terminare, c’erano anche due frecce pronte all’uso, con tanto di piumaggio in coda. Lo sa che anche queste sono una rara testimonianza d’arte di armaiolo? Fino alle nostre armi da fuoco, l’impennaggio delle frecce è rimasto fedele a canoni di antica costruzione. Anche Robin Hood e Guglielmo Tell sono debitori della vostra antica tecnica.»
«Non ho il piacere di conoscere questi signori che lei stima famosi tiratori, ma anche ai miei tempi non scherzavamo certo. Arco e frecce erano soprattutto arnesi da caccia, più che da battaglia. Si era nell’epoca di transizione tra la vita da cacciatori e raccoglitori a quella da agricoltori e allevatori e, più che strumenti di morte, le nostre armi erano mezzi per consentirci l’esistenza, procurandoci le proteine nobili della carne.»
«Mi tolga una curiosità: perché la scure con il tagliente di rame non le fu sottratta dopo averla colpita?»
«Di preciso non saprei, perché sono morto quasi subito per dissanguamento interno. Ipotizzo che l’assassino fosse pago della sua opera e non volesse portarsi via la scure che, pur prezioso utensile, sarebbe potuta diventare un indizio a suo carico. Oppure semplicemente cominciò a nevicare con grande intensità e pensò di ritornare in seguito sul luogo del delitto ma non riuscì più a localizzarmi sotto la neve.»
«Ancora una domanda. Le piace essere chiamato Ötzi, dal nome delle Alpi Ötztal?
«Sì molto, perché suona bene. Non le dico come venivo chiamato da vivo: un vero scioglilingua. La saluto, stia bene e… si ripari dal freddo, ché a lei può far male. Eh, eh!»