INCONTRO IMPOSSIBILE NEI PRESSI DI ADDIS ABEBA di Pietro Paolo Capriolo (P. P. Roe)
Incontro impossibile nei pressi di Addis Abeba
«Mi scusi, signora, ma prima dell’intervista devo precisare con i lettori una cosa. Credo proprio che quelli dell’Agenzia abbiano dato fondo a tutta la loro fantasiosa crudeltà mentale nel rifilarmi questo incontro. Quando la segretaria mi ha contattato facendomi il nome di Lucy, dapprima mi sono rallegrato, perché credevo di incontrare la famosa sorella di Linus ed entrare per un momento nelle storie dei Peanuts ideate dal compianto Charles Schulz. L’avevo incontrata per la prima volta nelle strisce in fondo alle pagine di un diario scolastico, quando ancora ero studente e non potevo permettermi l’acquisto della costosa76yt rivista specializzata in fumetti. Ora mi urgevano in petto domande impellenti sullo stato di conservazione della famosa coperta del fratello, dei rapporti con Charlie Brown e Piperita Patty ma, soprattutto, donde venisse quella stralunata saggezza al cane Snoopy. La segretaria mi lasciò entusiasmare per un po’, poi mi rovesciò addosso il secchio d’acqua ghiacciata della decisione sentenziata dalla commissione. Quasi irridendomi, mi dice “Non la Lucy dei fumetti, ma quell’altra, quella degli antropologi ritrovata in Africa”»
«Beh, eccomi qui. Mi dispiace deluderla: forse s’aspettava una donna più avvenente di me…»
«No, tutt’altro che una donna. La Lucy che intendevo io è una bambina bisbetica di otto anni, invano innamorata del piccolo pianista Schroeder. A differenza degli altri bambini che vendono limonata fresca, lei dispensa per cinque centesimi di dollaro consigli psichiatrici dal suo chiosco lungo la strada sconvolgendo la vita… nonché le partite di baseball a tutti.»
«Stento a comprendere quello che dice. Ai miei tempi, a otto anni, già mi occupavo dei fratellini, seguivo la madre nel branco e quando lei aveva le mani occupate, ero io a tenere in braccio il più piccolo della cucciolata. Non ricordo quando io abbia giocato l’ultima volta, non certo a baseball o alla dottoressa. Forse quella volta che nella caverna strisciavo sulla parete certe pietre che producevano scintille. Il maschio dominante mi lasciava fare, intento com’era a copulare con una delle zie.»
«Santo cielo, che salto temporale mi tocca fare! Ero pronto a conversare con una creatura dall’età infantile bloccata e con tutti i suoi amici fossilizzati nell’esistenza immutabile dei fumetti e mi capita invece di parlare con una femmina di pitecantropo, un fossile vero!»
«Supponente sapiens sapiens, pitecantropo lo può dire a sua sorella! Sono un australopiteco, prego!»
«Oh, mi scusi. Pensavo a voce alta. Non avevo intenzione di offenderla: ce l’avevo ancora con quelli dell’Agenzia che mi hanno giocato un simile scherzo. Sono partito con il piede sbagliato; dovrei esserle grato per la disponibilità dimostrata, ma ho rovinato tutto. Davvero sono mortificato. Per ricominciare con un minimo di professionalità riconquistata, la prego di chiarire a me ed ai lettori la differenza fra questi ominidi.»
«Bisogna fare un balzo indietro nel tempo, quando la specie Homo cominciò a distinguersi dagli altri primati o scimmie vere e proprie, ci tengo a precisare.»
«Dalle parole greche pitecos = scimmia e antropos = uomo, noi chiamiamo pitecantropo quel lontano cugino uomo-scimmia.»
«Non proprio esatto, ma può andar bene. Siamo nel tempo che voi chiamate Pleistocene (oltre due milioni di anni fa). Lo sa che il termine da lei usato è ora fuori moda, come anche dire Uomo di Giava e Uomo di Pechino? I vostri esperti dicono appartenenti all’Homo erectus i reperti trovati sul finire del 1800 e negli anni successivi in Asia. Sono di ominidi in grado di mantenere la stazione eretta abitualmente, capaci di scheggiare le pietre da due lati, ma non ancora di utilizzare il fuoco. Tuttavia si sono estinti inesorabilmente.»
«Mi pare di ricordare che l’Homo erectus fosse più evoluto dell’australopiteco. Ci vuole parlare della sua gente?»
«Estinti anche noi. Il nome che ci classifica è un po’ infamante. Letteralmente, australopiteco vuol dire: scimmia del sud. Siamo vissuti in Africa oltre tre milioni e mezzo di anni fa. Per quel che si sa, noi rappresentiamo la prima forma di differenziazione stabile dagli scimpanzé; in pratica, i primi ominidi.»
«Noi non usiamo domandare l’età alle signore, ma in un certo qual senso me l’ha fatta intuire. Complimenti d’obbligo, in questo caso.»
«Sì, sono una femmina. Lo avete dedotto dalle ossa del bacino e sempre dallo stato delle mie ossa voi dite che sarei morta per sfinimento nei pressi di una palude dove affondando non divenni cibo per predatori e mi fossilizzai. Non mi ci faccia pensare. Piuttosto vuol sapere perché mi chiamo Lucy, così sciogliamo l’ambiguità iniziale del nostro incontro?»
«So che la sua scoperta avvenne nel 1974 per merito della squadra di paleontologi guidati dal professor Johanson: trovarono ben cinquantadue delle sue ossa. Per inciso, dico ai redattori e lettori di aver intenzionalmente usato il plurale di osso come s’usa fare per i resti umani (ossa e non ossi), per il dovuto rispetto alle spoglie mortali non appartenenti ad animali.»
«La ringrazio e le dirò che fin dal principio gli scopritori ebbero grande rispetto nei miei confronti, dandomi un nome di donna e non chiamandomi semplicemente reperto xyz, oppure Homo (o meglio: Mulier) di Addis Abeba. Lucy mi piace molto e mi ricorda le scintille che illuminarono la mia caverna come le ho detto all’inizio. Questo sentimento vale per me soltanto, però. Andò in questo modo. Gli studiosi, alla sera intorno al falò, erano soliti cantare una canzone dei Beatles molto in voga a quei tempi: “Lucia nel cielo con i diamanti” e così venne loro l’ispirazione di chiamarmi Lucy.»
«Ma com’è che lei sa tutte queste cose, anche sugli altri primati?»
«Per quel che mi riguarda, il mio spirito era lì presente e poi, le dirò, ho passato già molti anni in un museo di paleoantropologia frequentato da specialisti di tutto il mondo e ho imparato tanto.»
«Ma mi risulta che non dovrebbe essere in grado di parlare. Del pitecantropo –mi scusi: dell’Erectus– dicono che non possedesse organi di fonazione adatti e che al massimo emettesse grugniti. Lei che ha almeno un milione di anni in più come ci riesce?»
«Si è mai chiesto come faccia lei ad intervistare personaggi d’altri tempi, di cultura e lingua diverse dalla sua? Per questo deve ringraziare la sua tanto vituperata Agenzia che ha investito in un’applicazione (dite così, no?) in grado di farla comunicare con i soggetti più diversi. Nel nostro caso specifico il costo è piuttosto elevato e l’applicazione richiede molti giga bit e, oltretutto, ci resta poco tempo. Come sono brava ha visto? Tutto merito della tecnologia. Se penso ai millenni trascorsi prima di saper trasmettere ad un altro l’esperienza fatta da un nostro individuo nel maneggiare un sasso…»
«Mi dica, in confidenza, lei si è sentita diversa dagli altri primati che circolavano nella savana? Il suo branco aveva un tenore di vita superiore in qualche cosa alle scimmie o siamo noi ad attribuirle tanta importanza?»
«Come detto prima ero in grado di stare in piedi in posizione eretta abituale anche nella camminata e questo sposta molto indietro la datazione di questa prerogativa. Ci nutrivamo prevalentemente di semi e radici, non disdegnando insetti e piccoli animali. Come mi sentivo? Credo che tutti gli animali abbiano la percezione di sé e così anch’io, ma grandi pensieri non ne potevo mica fare, con quella scatola cranica ancora così piccola! Con il mio reperimento gli scienziati sono giunti alla conclusione che la conquista della postazione eretta è di molto anteriore all’aumento del volume del cervello. Sembra che allora camminare fosse più importante che pensare…»
«Lei è morta da giovane adulta. Ha avuto figli?»
«Avere una discendenza era indispensabile allora e come tutte le femmine, appena raggiunta l’età dell’estro, sono stata ingravidata e più di una volta. Questo non lo trova nei libri e non lo potrà mai provare. Però, da gentiluomo, non indaghi più di tanto sulla mia vita sessuale…»
«Ha ragione. Nel ringraziarla per l’attenzione che mi ha riservato, posso a mia volta in qualche modo soddisfare qualche sua domanda sulla nostra epoca?»
«Sì. La prego, mi dica perché le interessasse tanto il cane Snoopy.»
«Quel personaggio dei Peanuts non solo ha una grande considerazione di sé, ma è un bracchetto dotato di molta fantasia. Pensi che, sdraiato sul tetto della sua cuccia, immagina avventure da pilota d’aeroplano della prima guerra mondiale. Chissà, magari anche i cani un giorno evolveranno!»