A PROPOSITO DI DEMOCRAZIA di Grazia Valente
Se pensiamo a quale sia il potere reale di cui dispone l’umanità, subito ci rendiamo conto che esso è pressoché inesistente. Nel migliore dei casi, nelle cosiddette democrazie, dove – per intenderci – vengono votate persone che dovrebbero rappresentarci, esso è soltanto una parvenza di potere. Quanti di noi possono dire di conoscere veramente i candidati? E quanti sanno esattamente che cosa fanno nel corso della legislatura? Quali sono i provvedimenti legislativi che li vedono firmatari? Quante volte sono stati presenti alle sedute del Parlamento e se, quando non lo erano, quali erano i motivi dell’assenza? Chi di noi li controlla? Noi ci fidiamo, semplicemente. Confidiamo che essi svolgano il compito che abbiamo loro affidato, e che dovrebbe essere quello di difendere i nostri interessi di cittadini, innanzitutto. Già. Ma i nostri interessi di cittadini sono forse tutti uguali? Certamente no. Se variano i redditi percepiti, se è diversa la classe sociale di appartenenza, se diverse sono le aspirazioni, diversi saranno anche i problemi collegati. Ma il parlamentare eletto deve sostenere gli interessi di tutti coloro che lo hanno votato. E si tratta, come è facile immaginare, di una platea piuttosto vasta, con interessi che a volte sono in contrasto tra loro. E’ una bella gatta da pelare. Si dirà: il partito politico al quale appartiene il candidato presenta un programma e in ragione di quel programma il cittadino che lo condivide lo voterà. Giusto, anzi, giustissimo. Ma non è così facile e lineare come sembrerebbe. I programmi elettorali sono spesso orientati a promettere il più possibile, per catturare voti. E il cittadino dimentica presto, assorbito dai propri problemi e tutte le promesse piano piano svaniscono lasciando il posto alle decisioni dolorose, come vengono chiamate, vale a dire quelle che, in nome di un superiore bene comune, intaccano interessi e aspettative del singolo. Inoltre, governare un paese è un processo in divenire, spesso occorre assumere decisioni su problemi imprevisti e imprevedibili. E il programma elettorale viene accantonato.
Non vi sono in gioco soltanto gli interessi economici, è tutta la forma di società a essere investita dall’attività dei Parlamenti e dei Governi, i quali legiferano, abrogano, modificano, prendono decisioni che avranno ripercussioni sulla vita di tutti noi, presente e futura. Una società intera disegnata da un pugno di persone praticamente sconosciute. Non vengono i brividi? E questo, nel migliore dei casi, vale a dire nelle democrazie parlamentari.
Se il giornalista Piero Angela aveva ragione quando affermava che il nostro sistema politico è diventato un sistema a circuito chiuso, ci si rende conto di quanto sia difficile penetrarlo e cambiarlo.
Inoltre, seguendo l’esortazione di Montesquieu, uno Stato per funzionare dovrebbe avere poche leggi e chiare, in modo che tutti i cittadini le possano comprendere. Fino ad ora non si è riusciti, o si è riusciti solo in minima parte, a semplificare o accorpare le numerose leggi che appesantiscono la nostra democrazia. Ed è proprio questa farraginosità a favorire l’annidarsi della corruzione. Ho il sospetto che questo disordine convenga a qualcuno.
La frattura tra pezzi di società e istituzioni, raffigurata plasticamente dal forte astensionismo nelle ultime elezioni, ha raggiunto livelli preoccupanti e non si vedono spiragli per una ricomposizione nel breve periodo.
Una motivazione che potrà apparire prosaica ma che ci sta particolarmente a cuore e che, secondo noi, accentua ogni giorno di più la distanza tra il cittadino e il contesto sociale nel quale vive, è relativa all’uso smodato della lingua inglese nonché all’utilizzo, quasi nevrotico, degli acronimi, in un turbinare di parole oscure, di sigle sempre nuove che per la maggior parte dei cittadini rimangono indecifrabili, a meno di operare una continua ricerca – per chi ne ha i mezzi tecnologici – al fine di coglierne il significato. Ne siamo invasi, frastornati, in grande difficoltà nell’isolare, in tutto questo bailamme, le notizie che ci interessano, spesso notizie importanti, che ci aiuterebbero a comprendere i cambiamenti e le trasformazioni che poi incideranno sulla nostra vita. È come se buona parte dei cittadini, soprattutto quelli meno abbienti e anche meno acculturati, fosse diventata sorda e cieca, impossibilitata a capire quello che viene detto e scritto e che rappresenta la voce della società di cui pure gli stessi cittadini fanno parte.
Ora, se è comprensibile che ci si stia avviando verso una società tecnologicamente più avanzata di quella attuale e che le nuove tecnologie entreranno, nei prossimi anni, a fare parte della nostra quotidianità, ci pare che l’accelerazione in corso, in un Paese come il nostro che soffre ancora di molte carenze sul piano culturale, non possa che produrre queste deformazioni della vita democratica che poi conducono al disinteresse, alla rassegnazione, all’abbandono di ogni dialogo con le istituzioni, fino a culminare nell’atto estremo di astenersi dall’andare a votare che rappresenta un muto gesto di ribellione nei confronti di chi ci governa. Ci rifiutiamo di pensare che tutto questo faccia parte di un disegno, anche se qualche volta il dubbio ci viene.