ABLUZIONI CULTURALI. FRA STORIA E STORIELLA. di P.P. Roe (Pietro Paolo Capriolo)
Inizio questa bizzarra ed eclettica trattazione rifacendomi alla figura di don Chisciotte della Mancia scaturita dalla mente di Miguel de Cervantes Saavedra nel XVII secolo ed in particolare mi soffermo sul bacile da barbiere che lo stralunato hidalgo promosse ad elmo per completare la ferrea armatura avita.
Non dico le signore, ma nemmeno nessun frequentatore di moderna bottega di figaro può aver visto questo attrezzo, per cui la maniera più pratica per averne un’idea è riandare ad immagini tratte da illustrazioni di libri, fumetti (splendida la rivisitazione di Jacovitti), film e monumenti.
Si tratta di un contenitore semisferico (adatto quindi ad essere calcato in testa) con un bordo piatto che vagamente ricorda l’elmetto dei soldati inglesi, ma la cui corona circolare non è completa, perché un buon terzo è volutamente mancante. Da ragazzo pensavo che la cosa fosse dovuta ad un incidente in cui era incorso il cavaliere errante, invece la forma è funzionale perché possa essere posizionato sotto il mento dell’avventore, avendo così il barbitonsore a disposizione l’acqua, lo sgocciolatoio dell’insaponatura e, sul bordo, lo spazio per deporvi lo sfalcio epidermico facciale, nettando il rasoio.
Quando ho escluso le signore, era perché esse hanno dall’industria cosmetica sofisticati mezzi per l’epilazione e comunque non vanno dal barbiere. Ma ai suoi tempi, una certa signora, nel senso proprio di persona di elevato rango sociale, passò alla storia anche per aver destato un certo stupore nei redattori del catalogo datato 1522 del suo corredo da sposa. La ventenne vedova Visconti se l’era fatto riportare da Milano a Casale Monferrato e poi ad Ivrea. Vi compariva anche un curioso bacile “da barberio” in argento. Che se ne faceva la bella e ricca Bianca Maria Scapardone, divenuta in seconde nozze contessa di Challant, che la giustizia terrena fece decapitare a soli venticinque anni in Milano perché ritenuta mandante dell’assassinio di Ardizzino Valperga di Masino, uno dei suoi amanti che non si rassegnava ad essere stato piantato?
Luciano Gibelli, nel suo Dnans ch’a fàssa neuit – Prima che scenda il buio… Priuli & Verlucca editori, 1999, Ivrea (TO), ha una risposta sicura: lo usava per l’igiene intima; era un bidet ante litteram.
I francesi sostengono di averlo inventato loro (il bidet, non il bacile da barbiere), ma forse è solo una faccenda di anticipazione di memoria storica grazie ad un riferimento che compare nelle Memoires di Luis de Voyer, poi ministro degli esteri di Luigi XV, che si stupì della particolare forma a violino più che della pratica dimostrazione d’uso da parte di madame De Prie, amante del primo ministro Luigi Enrico di Borbone-Condé, che lo ricevette mentre se ne serviva!
Questo strumento d’igiene è un immancabile laterizio smaltato o di ceramica delle stanze da bagno italiane ed ancora molto latitante all’estero. Addirittura si vocifera che il bidet stia ai francesi come la loro force de frappe, l’arma atomica posseduta e testata più di duecento volte nel deserto del Sahara e negli atolli della Polinesia che però proprio non si sognerebbero di usare sul patrio suolo.
Cominciamo dalla morfologia della parola: bidet o bidè? Entrambe le versioni sono accettate ed anche quella senza la t finale ma con accento grave è in fondo di derivazione francese. Dall’uso “a cavalcioni” e dal nomignolo dei primi mobiletti portatili (come le tinozze appese sui balconi) con quattro zampe di legno o di ferro ed un’alzata per deporvi il sapone ed appendervi l’asciugamano, si ha un chiaro richiamo ad un equino familiare alla società di anni fa. Non un cavallo di razza, ma un bidetto, da noi più noto con il nome di ronzino, di razza normanna, usato dallo scudiero non dal suo cavaliere, corrispondente all’utilitaria dei tempi nostri. Già nel XII sec. si distingueva il giullare, poeta da ronzino, dal trovadore, poeta da destriero (Cfr. Rambant de Vaqueras).
Il suddetto studioso Gibelli sostiene che questo strumento igienico abbia avuto sviluppo nel nord del nostro Paese, specialmente fra le popolazioni pedemontane e che proprio dal cavallo di campagna, per metafora, il nome sia passato alla nuova suppellettile da cavalcare.
La PALAZZANI RUBINETTERIE ha una pagina in Internet dedicata alla curiosa storia del bidet. Vi si può apprendere che Christophe Des Roses ne installò uno dalla marchesa De Prie che già abbiamo conosciuto. Beh, installato non è proprio il termine adatto, perché allora non c’erano autentiche stanze da bagno e la servitù portava dove occorressero i pitali, le tinozze, con brocche e catini, dunque anche il curioso oggetto a forma di violino. Naturalmente lo vollero, riccamente ornato di fregi e di intarsi di legni preziosi ed aromatici, altre dame celebri come la Pompadour, favorita di Luigi XV. Giunse anche alla corte di Versailles, ma vi rimase poco, perché inutilizzato.
In Italia invece, alla reggia di Caserta, si può ancora vedere quello voluto dalla regina Maria Carolina d’Asburgo-Lorena, che non fece caso alla cattiva nomea che circondava questa suppellettile tacciata di far parte del corredo delle meretrici. I Borbone, in fatto di igiene erano all’avanguardia, possedendo un’autentica stanza da bagno, con vasca in marmo, water ed acqua corrente. Quando i Savoia presero possesso del Regno delle Due Sicilie, lo videro per la prima volta e nell’inventario fu classificato come strano oggetto a forma, questa volta, di chitarra.
Più recentemente (1986), ne è stato immortalato lo stupore suscitato nel protagonista del film Mr. Crocodile Dundee. Qui l’attore Paul Hogan che interpreta lo spaesato rude cacciatore australiano trapiantato a New York, dopo averne scoperto l’uso, non si trattiene dall’annunciarlo forte dalla finestra alla sua bella intervistatrice che gli ha messo a disposizione un appartamento nella Città della Mela.
Oggi l’Italia, seguita dal Portogallo, è la nazione dove se ne registra la maggior diffusione, ma fino ai primi anni del secolo scorso il bidet era ancora considerato presidio sanitario esclusivo per gli ammalati gravi e venduto, portatile, alla Rinascente al prezzo di £ 60.
Per concludere questa bizzarra trattazione, mi va di raccontarvi una mia variante d’uno dei racconti de Le mille e una notte; qualche attinenza vedrete che c’è.
Un maghrebino giunto in Europa sul finire del 1900, proprio grazie ad una segreta ricetta di famiglia, riesce ad avere grande successo nella ristorazione da strada e dopo anni di duro lavoro, divenuto a capo di una catena di negozietti di cibo d’asporto, finalmente sente la nostalgia per il suo paese. Avaro, o solo desideroso di non essere assalito da opportunisti profittatori, decide di andarvi in incognito, aggregandosi ad un viaggio organizzato per turisti di lusso.
Quando il gruppo sosta in un hotel non troppo lontano dall’oasi della sua gioventù, comunica alla comitiva che quel giorno non avrebbe partecipato all’escursione prevista e che avrebbe atteso tutti in albergo. Invece, adocchiata la motocicletta di un cameriere, pagandogli un lauto compenso, se la fa noleggiare e, dopo rapidi ragguagli sul tragitto, parte alla volta della natia oasi.
Dopo un’oretta di viaggio però la motocicletta si guasta ed egli rimane prigioniero della vastità del Sahara. L’unica alternativa è raggiungere a piedi l’oasi, ma un miraggio lo distoglie dalla giusta pista e così, duna dopo duna, si trascina assetato sulla sabbia pressoché morente. La mano che affonda fra i granelli silicei avverte un oggetto: una bottiglia di Whisky. La fede dei padri vorrebbe che si astenesse da quel liquido peccaminoso, ma in punto di morte berne almeno qualche sorso potrebbe mantenerlo in vita e così decide di toglierne il tappo. Ma ecco che, fuori dalla sua prigione di vetro, un genio frettoloso di andarsene quanto prima e per niente cerimonioso per l’acquisita libertà gli impone di esprimere all’istante i classici tre desideri.
Dopo una simile mortifera esperienza, la prima richiesta è che non venga mai a mancargli l’acqua: calda, fresca, tiepida… purché acqua! Il genio annuisce, la richiesta è facilmente esaudibile e sollecita il secondo desiderio. A questo punto, garantitasi l’esistenza in vita, il nostro amico cerca di migliorarsela e, recriminando le discriminazioni subite in Europa, esclama: «Anche non biondo e con gli occhi azzurri, ma voglio assolutamente diventare bianco!». Pure stavolta il genio non mostra di trovarsi in difficoltà ad accontentarlo e gli mette urgenza per il terzo desiderio.
Quello esita, poi incalzato dal genio spazientito, si fa coraggio e confessa una bramosia che ha molto di pregiudizio razziale e di genere maschile: «Non so come dirlo, ma sai… Fra uomini, forse possiamo intenderci. Voglio che tutte le donne con me si aprano non solo con il cuore… Capisci cosa intendo?». E il genio a lui: «Sì, sì. Fammici pensare… Ah, ecco. Tu chiudi gli occhi e mentre ci pensi intensamente, conta adagio fino a cinquanta, intanto io mi sposto dove tu non puoi vedere io vada. In quel momento i tuoi desideri si realizzeranno tutti insieme. Ciao».
L’attesa spasmodica inizia con la conta. Datevi voi i tempi: 1 – 2 – 3… 48 – 49 – 50. Puff! La magia funziona ed il nostro amico si trova trasformato in… L’avete indovinato? In un elegante, funzionale, bianchissimo bidet, con acqua corrente miscelabile fredda e calda di un hotel a tante stelle!
Beh, questo è proprio il massimo della scurrilità che io mi possa permettere.