LA CITTÀ FESTOSA di Domenico Diaferia
Giorni fa ho avuto un’interessante conversazione con un profugo siriano che aveva chiesto diritto d’asilo. Era un ingegnere e parlava discretamente italiano avendo lavorato là con una nostra azienda. Voleva raggiungere la Germania dove aveva dei contatti, per farsi poi raggiungere dalla moglie e i figli che si erano a suo tempo rifugiati in Tunisia dai genitori di lei.
Dopo aver parlato a lungo della situazione del suo Paese, gli chiesi quanto aveva dovuto pagare per arrivare in Italia. Lui rispose:
«Una bella somma al gruppo che mi teneva prigioniero e un altro bel po’ di soldi per la traversata su un barcone appena decente. Ma a un certo punto con il mare grosso cominciò a imbarcare acqua. Dopo parecchio tempo fummo avvistati e salvati quasi tutti, quasi tutti…».
Mentre pronunciava quelle parole mi accorsi di quanta tristezza ci fosse nei suoi occhi, scuri nel suo viso asciutto. Ma vedevo anche tutta la sua fiducia nel futuro, che cancellava ogni stanchezza. Riprese:
«Io ce l’ho fatta e ne è valsa la pena».
Volle raccontarmi una storia che riteneva appropriata, piuttosto popolare nella sua terra. Talvolta la narrava ai figli la sera e così avrebbe voluto fare ancora.
“L’uomo arranca con fatica lungo la pista del deserto. Per un tratto del suo viaggio si è unito a una carovana attraversando dune interminabili, e quando questa cambia direzione decide di proseguire la solo. Cammina a lungo fino a una vasta pianura arida; solo qualche cespuglio secco spunta dalla terra spaccata dalla siccità. Il vento forte ha cancellato ogni traccia e mutato il paesaggio intorno. Pensa di essersi perso.
Beve le ultime gocce d’acqua con piacere disperato. Il sole alto arde con furore sopra di lui. Si accascia senza più la forza di procedere. Persa la speranza, pensa che forse è giunto il momento di recitare le ultime preghiere.
D’improvviso gli appaiono all’orizzonte le sagome di una città colorata con alte palme e cupole dorate. Gli giunge persino il suono piacevole di musiche e di canti come per una grande festa.
«Ecco la città dove sono diretto! Devo aver girato in tondo a lungo, ora ho ritrovato la pista. Potessi arrivare fino là, non è così lontana, sarei salvo e concluderei i mei affari…Quella è la vita che mi piace e che già assaporai!… La vita è dono di gioia, festa, una benedizione, questo è il suo vero senso! Al diavolo quegli spiriti malinconici che ne parlano come fosse intessuta dai fili del dolore, uno spinoso roseto, non più che un sogno… Con le monete d’oro che ho guadagnato finora potrò soddisfare ogni desiderio».
Vede avvicinarsi in corsa un uomo a cavallo avvolto in un mantello bianco. Passando accanto a lui il cavaliere rallenta un poco il passo e gli dice:
«Che fai qui solo? Fai un ultimo sforzo e raggiungi la città, tra le più belle, rara per ospitalità, belle donne, buon cibo e altre delizie che scoprirai da te. Vai, affrettati».
L’uomo ha appena il tempo di dirgli:
«Ti prego, portami tu nella città. Ti ricompenserò bene».
Ma il cavaliere in corsa gli risponde:
«Non posso fermarmi, devo portare con urgenza un dispaccio al generale. Ti saluto e buona fortuna».
L’uomo, che alla buona notizia si era rincuorato, ricade nell’angoscia; allora comincia a trascinarsi lentamente, come una serpe, di certo più veloce.
Riesce a percorrere in questo modo un buon tratto, ma la città è lontana e lui è sfinito.
Vede giungere al galoppo la sagoma di un altro cavaliere. Subito gli fa segno da lontano di fermarsi, perché lo veda e non lo sorpassi.
Il cavaliere rallenta il passo e si ferma.
L’uomo gli chiede in lacrime:
«Ti supplico, portami in quella città, è la mia unica salvezza. Come vedi, non ho più forze e da solo non potrò mai farcela. Ti ricompenserò molto bene».
L’uomo risponde:
«In quale direzione hai visto la città di cui parli?»
«Là, a occidente, dove il sole sta scendendo. Guarda!».
Il cavaliere guarda intorno in tutte le direzioni:
«Amico, mi dispiace, questa è la follia del deserto. Quello che hai visto è un miraggio. La città più vicina dista almeno due giorni di cammino, uno solo se mi affretto, e devo, perché la mia famiglia mi aspetta e sarà già in ansia».
«Allora portami con te, ti prego».
«Non posso, Te lo dico con dolore. L’animale è già stanco e non reggerebbe due uomini per un viaggio così lungo. Pregherò per te. Addio».
«Addio».
In cielo era già apparsa la luminosa falce della luna.
L’uomo è infine salvato da alcuni predoni in cambio delle sue monete d’oro. Portato in un’oasi, viene in seguito liberato in cambio di un riscatto, chiesto alla famiglia. Lui dice:
«È un buon affare».”