DANTE FRA GLI ESOTERISTI. di Letizia Gariglio
Breve excursus fra gli esoteristi interpreti di Dante. Il primo fu Gabriele Rossetti, padre dell’artista preraffaellita Dante Gabriel, carbonaro, probabilmente rosacroce, esiliato, negli ultimi anni del 1800 dedicò molto studio all’opera di Dante e pubblicò alcuni volumi in cui si soffermò sullo spirito antipapale che animava, in Italia, letterati e letteratura, e che si sviluppò nel periodo in cui vissero sia Dante che Petrarca e Boccaccio. Il gruppo di oppositori di cui anche Dante faceva parte diedero vita al Dolce Stil Novo; per evitare accuse di eresia in un periodo in cui la Chiesa era agguerritissima, adoperavano un linguaggio segreto. Dante desiderava fortemente un rinnovamento della Chiesa e del Papato ed era stato iniziato alla setta dei Fedeli d’Amore, usava il loro linguaggio, cosiddetto della Gaia Scienza; sulla scorta di una antica tradizione che già si era espressa attraverso i poeti provenzali i Fedeli d’Amore si ricollegarono alla conoscenza della filosofia pitagorica. Rossetti comprese che nella Divina Commedia la filosofia platonica e pitagorica era travestita da teologia cattolica (per evitare accuse di eresia da parte dell’Inquisizione), ma che in realtà il poema conteneva un patrimonio (nascosto ma reso leggibile se in se è in possesso della chiave di lettura), della sapienza degli antichi misteri.
Quanto a Pascoli, i dantisti non se lo filavano, eppure i suoi studi danteschi erano iniziati subito la laurea e proseguirono tutta la vita. Quando annunciò ai suoi colleghi letterati di aver trovato «la chiave per entrare nel mistero di Dante» più d’uno accolse la notizia con un sorrisetto di scherno misto a penosa accettazione, una tollerante alzatina di spalle, un interrogativo fra sopracciglia. Perché? Erano invidiosi, semplicemente. E poi c’era qualcos’altro: il notevole disturbo creato dalla relazione piuttosto stretta con i contenuti degli insegnamenti massonici e il carattere peculiarmente esoterico e mistico iniziatico di quanto l’autore aveva scoperto, elementi durissimi da digerire per il mondo accademico. Così, ciascuno dei tre volumi che Giovanni Pascoli scrisse su Dante, Minerva oscura, Sotto il velame, La mirabile visione, ebbe scarsi incoraggiamenti, ottenne per dirla con eufemismo pochi riconoscimenti da parte della cultura ufficiale e suscitò una indifferenza così tenace da lasciarci increduli ancora oggi. Eppure l’autore non abbandonò la propria ricerca della conferma dell’unità strutturale della Commedia, fino alla fine della sua vita. Ancora oggi gli studiosi ufficiali di Dante cercano di arginare e frenare la mole di scomode scoperte di Pascoli, incapaci come sono di affrontarle, passando attraverso quella «porticciola del gran tempio mistico», che invece il grande letterato e poeta aveva aperto, rendendosi quasi scandalosamente disponibile a una lettura interpretativa sciamanica del testo dantesco. Deluso anche da colui che era stato suo maestro, Giosuè Carducci, cui doveva la bocciatura a un importante concorso nazionale dedicato agli studi danteschi ( fu Carducci stesso a stendere il giudizio negativo), scrisse che i suoi studi erano stati «derisi e depressi», «oltraggiati e calunniati». I dantisti in cattedra ancora oggi fingono fin dove possibile di ignorare i libri di Pascoli su Dante, considerati come un’imbarazzante anomalia nel panorama della sua arte.
Riprese l’interpretazione di Pascoli un suo discepolo, Luigi Valli, che ebbe il pregio di svelare con una mole ricchissima di studi, analizzando nei particolari in ogni testo il gergo iniziatico del dolce stil novo, dove prepondera l’Amore e l’importanza delle figure femminili, tutte rappresentanti l’ intelligenza trascendente; quanto alla Commedia fornì uno schema, Lo schema segreto del poema sacro, in cui, canto dopo canto, analizzò tutti gli apparati simbolici e allegorici della Divina Commedia. È contenuto invece nel volume La struttura morale dell’universo dantesco, e in particolare nel saggio (Il supercattolicismo di Dante) l’esposizione del pensiero di Valli in tal senso, condensato nella frase : «La teoria segreta di Dante rappresenta in realtà un meraviglioso, un titanico tentativo di dare una forma di supecattolicismo». E spiega in che cosa consiste la sua visione certamente non perfettamente ortodossa dal punto di vista della Chiesa , ma che si ispira direttamente alla purezza delle origini del Cristianesimo.
Guénon è forse il più conosciuto fra gli studiosi favorevoli ad analizzare i caratteri esoterici dell’opera di Dante. A partire dalle parole dello stesso Dante, «O coi ch’avete gli intelletti sani / Mirate la dottrina che s’asconde / Sotto il velame delli versi strani », (Inferno, IX, 61-63), Guénon si sofferma a esaminare il lato esoterico dell’opera dell’Autore, certo che egli sia appartenuto ad una organizzazione iniziatica; afferma l’autore: «La metafisica pura non è né pagana né cristiana, è universale; i misteri antichi non erano paganesimo, ma vi si sovrapponevano». ( René Guénon, L’esoterismo di Dante, capitolo I).È particolarmente interessante lo studio di Guénon sulla suddivisione di Dante dei tre mondi (Infermo, Purgatorio, Paradiso), che contiene secondo l’autore molte similitudini con la teoria indù dei tre guna: tre diverse condizioni attraverso cui l’animo umano deve passare per evolversi, ma che vedono abitualmente la preponderanza di uno di essi in ciascun essere umano.