A PROPOSITO DI THOMAS BERNHARD. VIAGGIO NEL LABIRINTO DELLA SCRITTURA di Grazia Valente
5. Nel trapassatoio
“I medici non furono altro, per me, che quel muro bianco che sempre si innalzava davanti al mio letto”
La giovinezza ha le sue regole, la giovinezza non può, non deve condividere spazi con la vecchiaia, la giovinezza appartiene ai giovani che la abitano in un determinato periodo della propria vita, essi sono all’inizio del loro percorso esistenziale mentre gli altri, i vecchi, sono al termine. La nuova avventura di T.B., e quindi anche della nostra, ha inizio in un luogo nel quale avviene questa mescolanza insana, quella tra un giovane, sia pure gravemente ammalato, e dei vecchi ammalati anche loro, ma che sembrano ormai condannati, e forse anche il giovane Thomas è condannato, forse anche i suoi polmoni lottano inutilmente, forse tutto quello che gli sta accadendo ha a che fare con la malattia del nonno e il ricovero in ospedale del nonno tanto amato, forse il nipote e il nonno sono legati da un legame che trascende ogni visione razionale della vita e li tiene legati al punto che se si ammala uno anche l’altro subisce una caduta vertiginosa verso la malattia, verso una malattia grave, forse più grave di quella del nonno, forse addirittura letale. L’ospedale è diventato un luogo dove si concentrano soltanto i rumori, il rumore dei passi, delle porte che si aprono e si chiudono, il respiro affannoso dei vicini di letto, ma Thomas non vede che ombre, parvenze di esseri umani adagiati nei loro letti che lui non ha la forza fisica di vedere lucidamente, tutto sembra avvolto in una densa zona d’ombra attraversata soltanto da voci, da rumori, da casse di zinco che portano via i vecchi che non ce l’hanno fatta. Siamo entrati con Thomas in questo incubo che non sembra avere fine, il nostro respiro si fa affannoso come il suo e come quello dei vicini di letto, non sappiamo ancora se ce la caveremo, improvvisamente ci scopriamo ad amare la vita, sentiamo di desiderare ardentemente di vivere come mai ci era accaduto di desiderare. Ciascuno è diverso da ogni altro, ciascuno vive in modo diverso, ciascuno muore in modo diverso. Noi ci troviamo nel trapassatoio, come lo chiama Thomas, e in questo stanzone dove vengono parcheggiati, diremmo oggi con linguaggio brutale, i vecchi molto ammalati, quelli in gravi condizioni, quelli per i quali non esistono più cure ma solo palliativi, in quello stanzone carico di umanità che non combatte nemmeno più, stremata dalla malattia, qui Thomas combatte la sua battaglia per la sopravvivenza. E’ il corpo che obbedisce allo spirito, e non viceversa, e lo spirito di Thomas è forte, uno spirito indomito, uno spirito che non si arrende. Stiamo vivendo, insieme a Thomas, un’esperienza unica, fondamentale, così pensa il nonno, dal momento che gli ospedali non sarebbero altro che quartieri del pensare, luoghi nei quali siamo costretti per necessità e che quindi ci costringono a meditare su noi stessi e sulla nostra esistenza, senza questa reclusione obbligata continueremmo la nostra esistenza superficiale, un artista, e soprattutto uno scrittore, ha addirittura l’obbligo di farsi ricoverare in ospedale , per non rimanere impigliato alla superficialità delle cose, così il nonno, che di nuovo ritroviamo nella vita di Thomas, ricoverato come lui, accanto a lui in questa esperienza fondamentale. Ci sembra di essere avvolti dal colore bianco, bianche le pareti, bianchi i letti di ferro, bianchi gli abiti delle suore infermiere, bianchi i camici dei medici, siamo immersi in un sudario di colore bianco, i vecchi che muoiono vengono avvolti nel loro stesso lenzuolo bianco, come sempre T.B. non ci risparmia nulla, osserva, seziona, descrive, penetra, assorbe, ogni oggetto, ogni angolo, ogni bisbiglio viene restituito dalla sua osservazione nei minimi particolari nulla ci viene occultato, di tutto veniamo messi a parte con ossessiva precisione, con scientifico accanimento. Le porte si aprono e si chiudono, i medici non parlano, le suore non parlano. I medici sono o dei megalomani o degli sprovveduti, il bisturi lessicale di T.B. è feroce, impietoso, il suo punto di osservazione è quello del malato, della comunità dei malati moribondi, parcheggiati nel trapassatoio, era inutile cercare di avere una conversazione con i medici, inutile pretendere da loro una spiegazione sulla propria condizione di malato, il ragazzo Thomas quale era allora, non l’uomo che è oggi, aveva questa percezione, che i medici alzassero un muro tra loro e i pazienti, un muro di incertezza, nessun dialogo risulta possibile tra medico e malato, i medici non furono altro, per me, che quel muro bianco che sempre si innalzava davanti al mio letto. La morte diventa la compagna delle notti e delle giornate di Thomas, i malati che fino al giorno prima giacevano nei loro letti improvvisamente scompaiono, il loro letto viene subito rifatto e un altro ammalato ne prende il posto, un nuovo cartellino ai piedi del letto ne indica il mestiere, la professione, si direbbe che solo Thomas abbia qualche speranza di sopravvivere, le sue condizioni apparentemente non migliorano ma non è ancora morto, e questo sembra già essere un miracolo. La ricostruzione degli eventi è possibile soltanto grazie a brandelli di memoria, ci dice T.B., eThomas, al pensiero della sua vita precedente la malattia, quando vede se stesso correre alla lezione di musica con gli spartiti sotto il braccio, nel ripercorrere quei frammenti di memoria si sente preda della disperazione. Ma ad un tratto ogni cosa sembra precipitare, siamo di nuovo avvolti da quella luce lattiginosa dove tutto appare rarefatto, intorno solo ombre che si muovono, vanno, vengono, sono tutti nel nostro campo visivo annebbiato, manca solo il nonno, l’assenza del nonno ci appare inspiegabile, ma quella nebbia rarefatta dalla quale siamo avvolti attutisce anche la percezione dell’assenza del nonno, mentre la mamma di Thomas lo veglia e lo accudisce al posto del nonno fino alla guarigione, anzi al miglioramento della malattia. Adesso lo sa, lo ha scoperto casualmente, che il nonno è morto, l’ottimismo che gli trasmetteva ogni volta che veniva a trovarlo, le prospettive di un futuro da grande cantante, quella sua capacità di risollevarsi dopo ogni sventura sarebbe stata l’eredità spirituale del nonno, quella materiale consisteva in qualche vestito e nella macchina da scrivere che faceva parte del patrimonio intellettuale del nonno e che questi gli aveva voluto trasmettere. Ci stiamo incamminando insieme a Thomas verso una nuova avventura, presto lasciamo il trapassatoio, fuori dall’ospedale ci attende una stanza a due letti dove andremo a trascorrere un periodo di convalescenza, dove c’era finalmente il tempo, liberati dalla fase virulenta della malattia, di riflettere. Forse anche il lutto, la perdita del nonno che tanto ci aveva influenzato nel periodo della nostra formazione, forse anche questa perdita può rivelarsi utile, dover affrontare le future battaglie con le nostre sole forze avrà forse un effetto benefico su di noi e sulle nostre scelte. Thomas si stava dirigendo verso quel quartiere del pensare che era l’ospedale, che adesso si chiamava convalescenziario e che era in effetti un ex hotel trasformato in clinica. La pace e il silenzio che regnavano in quelle stanze aveva però un effetto negativo sul suo umore, Thomas stava rielaborando la terribile esperienza del trapassatoio, stava analizzando tutto l’orrore della permanenza in quel camerone, in mezzo a quegli ammalati moribondi con i quali aveva condiviso giorni e giorni, ma scoprirà presto, e noi insieme a lui, che anche in questa clinica ex hotel si muore, ma qui la morte è più discreta, i morti certamente escono nelle casse dalle loro stanze ma si direbbe che nessuno assista a questa operazione. Della loro esistenza da morti ci sono soltanto dei tumuli di terra fresca contro il muro del cimitero che si vede dalla finestra della stanza. Adesso stiamo scoprendo che questa clinica ex hotel definita convalescenziario per affetti da malattie respiratori ospita in realtà malati di tubercolosi, una scoperta sconvolgente per il giovane Thomas, un altro duro colpo per lui e per la famiglia. Forse stiamo entrando di nuovo nel castello, nei bui e cavernosi meandri della mente del giovane Thomas, in quelle stanze mentali dentro le quali sembra essere prigioniero, sentiamo impellente il bisogno di aria pulita, questi boschi che circondano l’ ex hotel oggi convalescenziario per malattie dell’apparato respiratorio non sono sufficienti a rendere il nostro respiro normale, a farci sentire che ci siamo di nuovo impossessati della nostra vita, che la nostra vita è pronta a ricominciare, che siamo pronti a vivere, nonostante tutto. Il giovane Thomas, il convalescente Thomas, adesso si trova in un luogo in realtà adibito a sanatorio, anche se il suo nome è diverso, ma lui non è tisico, non crede di esserlo, ma adesso teme fortemente di diventarlo, di contrarre la tisi in quel luogo ex hotel in mezzo ai boschi pieno zeppo di persone gravemente ammalate di tubercolosi, lui pensa giorno e notte di poter contrarre quella terribile malattia in ogni momento e in ogni luogo che frequenta in quella clinica ex hotel in mezzo ai boschi, sempre giorno e notte questo è il suo pensiero, il suo incubo, che cerca di alleviare con le letture, i libri del nonno, i libri più amati dal nonno lui se li è fatti recapitare in quella clinica che sembra un sanatorio, sono libri importanti, libri formativi, come si dice, forse non tutto quello scritto in quei libri viene da lui compreso fino in fondo, ma qualcosa gli rimane di sicuro, lui ne è convinto, le sue letture di quel periodo rimarranno nella sua mente per sempre, i libri che furono del nonno adesso sono diventati suoi, ogni riga di quei libri il nonno l’aveva letta e assimilata e adesso era lui, Thomas, che leggeva e assimilava, e queste letture dei libri che furono del nonno lo aiutavano insieme alle conversazioni con il suo compagno di stanza, finalmente una persona giovane con la quale poter conversare e discutere, e queste conversazioni insieme alle letture dei libri del nonno alleviarono in quel periodo la sua situazione fisica e psicologica. Adesso può incominciare a uscire, le sue passeggiate gli fanno scoprire la bellezza di quei luoghi, tutto converge verso la fine di quell’incubo, il suo compagno di stanza viene dimesso, Thomas adesso esce da solo, oltrepassa spesso il confine tra Austria e Baviera, si è nuovamente impossessato di lui lo spirito avventuroso e ribelle che conosciamo, nulla lo può fermare, il futuro incerto che angustia la sua famiglia lo turba solo a tratti, la famiglia spera che lui possa diventare un commerciante, una volta conseguito il titolo professionale, ma Thomas sa che questo non avverrà, lui non sarà mai un commerciante, quello che desidera è soltanto essere se stesso, Lui sa che la vita tranquilla non è adatta a lui, Noi insieme a lui sentiamo, percepiamo che le turbolenze nella sua giovane vita non sono finite, un’altra esperienza terribile lo attende, la malattia della madre, e insieme la diagnosi infausta sui suoi polmoni, sulla malattia polmonare che adesso ha un nome: tubercolosi, e lo porterà questa volta in un sanatorio. Per adesso la visita al castello si conclude, ci avviamo con lui verso l’uscita, ma presto ci incontreremo nuovamente. E’ una promessa.
Le sensazioni qui descritte sono nate dopo la lettura de “Il respiro”, pubblicato a Salisburgo nel 1978 e in Italia da Adelphi nel 1989, che ripercorre il periodo trascorso in ospedale, dove il diciottenne Bernhard lotta per sopravvivere a una grave malattia polmonare.
da “Il respiro”
I volti delle suore erano induriti come le loro mani.
Questi medici che hanno una concezione della medicina completamente degradata a puro commercio.
Tutto quello che ci riguarda è un gioco d’azzardo.
Una visita nel trapassatoio segnava il visitatore per il resto dei suoi giorni.
Le persone di città sono più brutali che non quelle di campagna nello scaricare i loro vecchi e i loro malati.
Ero uscito da quella macchina che produce sciagure e catastrofi a getto continuo quale senza dubbio è l’ospedale.
Soggiacevo al meccanismo che mi riduce a procurarmi i giornali, a leggerli e a esserne ogni volta disgustato.
Per tutta la vita ero stato ostile e nemico di ogni genere di cortei.