A PROPOSITO DI THOMAS BERNHARD. VIAGGIO NEL LABIRINTO DELLA SCRITTURA di Grazia Valente
3. Angoscia
“Non riusciva più a sopportare né il terribile peso del suo mondo interiore né quello del mondo intorno a lui”.
Può una città respingerci, annientarci, isolarci da noi stessi, offendere la nostra creatività e il nostro talento, ottundere i nostri sensi per prendere possesso della nostra intelligenza o della nostra anima profonda per adattarla alla sua incomparabile ottusità? Stiamo percorrendo di nuovo i meandri della mente di T.B., le sue angosce esistenziali, i suoi tornanti mentali vertiginosi, abissalmente vertiginosi per profondità e vertiginosità di dolore e sofferenza quasi inesplicabili, indagati come sotto il vetrino di un microscopio impietoso. Adesso ci troviamo nella stanza delle scarpe di un collegio salisburghese, percepiamo l’odore di sudore che emana dalle scarpe ma, insieme a questo, sentiamo vibrare le corde di un violino che sembra essere frutto di una allucinazione uditiva, un violino nella stanza delle scarpe, il suono melodioso di uno strumento così delicato nella stanza dove si custodiscono decine, forse centinaia di scarpe di ragazzi sudati e mal lavati? Eppure in questa stanza il ragazzo Thomas si esercita al violino mentre medita sul modo migliore di suicidarsi. Noi che non sappiamo suonare il violino né altri strumenti musicali e neppure siamo mai stati in una stanza delle scarpe che riusciamo a malapena a immaginare, anche noi meditiamo sul modo più rapido e indolore per fuggire dal dolore che sembra non darci requie, dentro questa stanza delle scarpe, che non riusciamo a immaginare ma che dev’essere piena zeppa di scarpe e di odore di sudore, il suono del violino di T.B. ci penetra nelle orecchie accentuando il nostro desiderio di fuggire da dolore e sofferenza che ci viene trasmesso non sappiamo se più dalla claustrofobica chiusura nella stanza delle scarpe oppure dal suono straziante di un violino le cui note si perdono tra lacci e lucido da scarpe e sudore. Adesso ci sembra di essere di nuovo nel castello, nel buio gelido del castello o di qualche altro luogo simile al castello per freddo e buio, ci accompagnano grida e pianti, una folla si accalca in quel luogo che ci appare sinistro, scosso a tratti da improvvisi sobbalzi, nel nostro castello si urla tra pianti e grida di bambini, il nostro udito è attraversato da queste urla e da questi pianti, siamo stati svegliati nel pieno della notte, ci troviamo tra queste pareti umide e fredde insieme a una moltitudine di gente che non smette di piangere e urlare, ci sentiamo soffocare, desideriamo soltanto uscire e rivedere la luce, l’aria e la luce ci sembrano la sola cosa di cui abbiamo bisogno, desideriamo soltanto uscire da questa galleria-rifugio squassata dalle bombe, presto ne usciremo tra grida e pianti, dove il suono del violino è sempre più fioco e più lontano fino alla distruzione del violino stesso. Il fragore delle bombe annuncia la distruzione della città e con essa del nazional-socialismo, una città che detestiamo nel profondo di noi stessi, una città che è in realtà una malattia mortale, adesso questa città era in via di distruzione, tutto stava crollando miseramente insieme al nazional-socialismo, anche il violino era stato distrutto e noi ci sentiamo partecipi insieme al ragazzo Thomas: io provai ugualmente una sensazione di gioia per la distruzione del mio violino, finalmente ci sentiamo liberi, con la fine della carriera, eravamo finalmente liberi insieme al piccolo Thomas, la distruzione del violino ci aveva liberato completamente e definitivamente, e adesso incredibilmente amavamo questa città divenuta improvvisamente umana, una creatura che viveva, sia pure disperatamente. Stiamo uscendo, siamo usciti dall’inferno della guerra, ora ci troviamo nuovamente tra le mura del castello, tra quelle stanze buie dentro le quali ci muoviamo guidati dalla luce di un candeliere che teniamo tra le mani, riusciamo a illuminare soltanto qualche angolo, qualche parete che sotto la luce appare spettrale. Che cosa ci fa adesso quel crocefisso, siamo certi che prima su quella parete c’era il ritratto del Fuhrer, lo abbiamo visto tante volte, ne siamo certi, ma adesso al suo posto vediamo un crocefisso, e da lontano sentiamo un canto liturgico: Altissimo, noi cantiamo le tue lodi, siamo frastornati, confusi, altre voci risuonano tra i muri del castello che somiglia sempre di più al vecchio collegio della stanza delle scarpe dove ci esercitavamo con il violino. Dappertutto un profumo d’incenso, certamente frutto di una nostra allucinazione. All’alba risuonano le voci di altri ragazzi che si dirigono alla cappella, stanno somministrando la comunione, tutto appare diverso ma noi sentiamo che poco è cambiato, ci sentiamo sempre reclusi, imprigionati da regole e imposizioni, ma dobbiamo resistere, sappiamo di dover resistere, qui si gioca il nostro futuro, la nostra vita futura nella cosiddetta società. Siamo ora in balia del cattolico regime di terrore. dove la nostra indole umana, giorno dopo giorno, viene corrotta. Adesso il ragazzo Thomas frequenta il ginnasio, con professori che sono essi stessi anime sconfitte, dove le sofferenze psicologiche aumentano di intensità e alimentano il desiderio di fuga. Ci sarà il tempo della liberazione, lo sentiamo vivamente, il tempo in cui tutto questo sarà alle nostre spalle, ci sembra già di sentirci liberi mentre guardiamo dalla collina la città sotto di noi che adesso ci appare bella come mai l’avevamo vista. Presto lasceremo tutto alle nostre spalle, è la cosa che desideriamo di più, la cosa che si avvererà molto presto, prestissimo. Già adesso.
Le sensazioni qui descritte sono nate dopo la lettura de “L’origine”, pubblicato a Salisburgo nel 1975 e in Italia da Adelphi nel 1995, che ripercorre il periodo trascorso in collegio a Salisburgo, durante il nazismo e, successivamente, nello stesso istituto, diventato cattolico.