INCERTO SULLA TUA APPARTENENZA SARAI PIU’ MANIPOLABILE di Letizia Gariglio
Incerto sulla tua appartenenza sarai più manipolabile di Letizia Gariglio
In alcuni articoli precedenti mi sono fermata sul concetto di gender, ho manifestato la mia preoccupazione nell’intravedere nella conduzione della teoria gender una volontà di sovragestire le scelte relative all’identità sessuale degli individui, attraverso modalità culturali condotte con precisi atteggiamenti di comunicazione, in modo da orientare (o disorientare?) gli indirizzamenti sessuali degli individui e alcune scelte personali a tal proposito; la preoccupazione si acuisce nell’osservare sempre più frequentemente che le scelte indotte si allontanano, in modo sempre via via più incidente, da basi biologiche.
Il collegamento con i temi della tutela dell’infanzia e dell’adolescenza è evidente e si annoda al tema degli allontanamenti dalle famiglie di minori, indirizzati a case-famiglia, a comunità, o a famiglie affidatarie. Anche in Italia abbiamo visto come alla presunta inadeguatezza della famiglia si sia preferita una diversa adeguatezza, in cui l’impronta della “nuova” scelta aderente alla idee falsamente libertarie della teoria gender hanno avuto un peso facilmente individuabile da osservatori esterni.
Ho già anche espresso la mia intensa preoccupazione per certi metodi di sottrazioni di minori finalizzati, a mio parere, a una espansione progressiva di metodi di controllo sociale. Tra l’altro la preoccupazione sostanziale si lega anche a aspetti minori, ma non trascurabili, di spese sconsiderate di denaro pubblico. Rimane tuttavia l’assillante dubbio principale: esiste un mercato dei bambini, incentivato da appartenenti a caste politiche? Il dubbio è corroborato dal numero spropositato di minori (oltre 50.00) che in Italia è stato prelevato dalle famiglie e si trova inserito in situazioni alternative.
A livello internazionale ci incuriosisce (e preoccupa) molto il ruolo che ha avuto, in collegamento con il tema gender, il centro londinese di The Tavistock Centre, dove da tempo ci si prende “cura” di bambini con problemi di identità sessuale.
Nato a Londra nel 1920 come clinica psichiatrica, vi furono studiati i reduci della prima guerra mondiale con psicosi traumatiche. In seguito dopo il 1937, il centro cominciò a occuparsi di tecniche di manipolazione degli individui; ma è nel secondo dopoguerra che si iniziò a applicare i risultati precedenti della manipolazione, ottenuta sui singoli, su scala sociale. Lo scopo era quello di vincere le resistenze psicologiche di tipo individuale, dando uniformità al corpo sociale, in modo da osservarlo e controllarlo più agevolmente in un “Nuovo Ordine Mondiale”. Negli anni ’60 poi il Centro pilotò, in collaborazione con i servizi segreti inglesi, gli effetti e la diffusione di droghe, tra cui la LSD. Oggi, nel panorama degli esperimenti di ingegneria sociale (ne ho parlato in articoli precedenti) fra gli obiettivi principali di Tavistock c’è l’indebolimento dell’individualità, la disgregazione dell’identità personale e culturale, il raggiungimento dell’uniformità, attraverso il controllo della mente del singolo e del corpo collettivo, funzionale all’indebolimento degli Stati nazionali.
Che cosa ha a che fare tutto questo con il gender?
È evidente che la disgregazione sessuale, o quanto meno il disorientamento sessuale, fa sì che sia più difficile una salda identità: non solo di genere, perché venendo a mancare una solida identificazione con il genere (maschile e femminile), avente una corrispondenza su basi biologiche, si intensificano incertezze , sentimenti di malessere e di incongruenze. Pertanto, sotto l’apparente obiettivo di curare un disturbo di genere può nascondersi quello di intensificarlo.
Dunque al Tavistock si “cura” il disturbo di genere. Fa parte del Centro il Gender Identity Development Service (GIDS), servizio nazionale inglese specializzato, dedicato ai bambini e ai giovani (e alle loro famiglie), che sperimentano difficoltà nello sviluppo dell’identità di genere. Nelle righe di presentazione del servizio si legge che «molti bambini si sentono infelici relativamente ad alcuni aspetti delle caratteristiche sessuali primarie o secondarie del loro corpo. Bambini cui è stato assegnato alla nascita il genere maschile possono non sentirsi maschi; con il passare del tempo possono sentire – e dire – di essere femmine. Al contrario alcune femmine, designate come tali alla nascita, si sentono maschi». Altri, si sostiene nello stesso documento di presentazione, possono non sentirsi né maschi né femmine. Il Centro, si afferma, si propone di aiutare questi bambini nel riconoscimento dello stato di gender verso il quale desiderano evolvere. Quello che non si dice è che nella sede del centro si è intervenuti anche su bambini di tre anni.
In ogni caso solo nell’anno 2019 più di 2.500 bambini inglesi sono stati condotti al 120 di Belzise Lane di Londra. È stato richiesto intervento e aiuto funzionale, in ultima analisi, per una scentratura di genere: parlare di assestamento mi pare davvero il contrario della verità. Molti giornali – tra cui il Times, hanno parlato del caso riguardante l’Istituto, che già da tre anni ha avviato per molti bambini e ragazzi un percorso di transizione di genere: anche per bambini di tre anni! Invece di lasciare tempo ai bambini di superare l’eventuale stato di confusione (ma di quale stato di confusione sessuale parliamo, a tre anni?) si preferisce intervenire pesantemente dall’esterno. In Gran Bretagna negli ultimi tre anni ben 18 medici si sono licenziati dal Centro per ragioni di “coscienza professionale”, poiché si sono trovati (almeno loro) in disaccordo con le sperimentazioni selvagge che venivano operate su minori, già in sé la parte più vulnerabile della società, e per di più spesso minori disabili, autistici, o malati mentali, o particolarmente fragili per aver subito abusi e per aver vissuto traumi familiari.
Ai più piccoli e agli adolescenti venivano somministrati farmaci e ormoni allo scopo di bloccare il naturale passaggio puberale e di avviarli a esperienze transgender.
Tornando alla nostra situazione italiana, non c’è di che stare tranquilli. Sembra che anche da noi si voglia seguire la pista segnata inGran Bretagna. L’Aifa, vale a dire l’Agenzia del Farmaco, ha determinato il 25 febbraio 2019 che si possa intervenire farmacologicamente nella cura delle disforie sessuali, rallentando il processo della pubertà con una molecola, la triptorelina: questa molecola è stata inserita fra i farmaci erogabili dal Servizio Sanitario Nazionale. Il medicinale dunque potrà essere somministrato agli adolescenti affetti da indecisioni e confusioni di identità sessuale, in modo da procurare un blocco temporaneo dello sviluppo puberale e, nelle intenzioni dichiarate, dar tempo di effettuare una scelta di definizione di genere. Ciò che preoccupa è però la mancanza di considerazione del ruolo che gli ormoni sessuali esercitano sullo sviluppo cerebrale e il fatto che la molecola in questione può provocare un rallentamento cognitivo.
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