IL SUONO “U” DALLA PROTUSIONE ALLA TURPITUDINE articolo di Letizia Gariglio

Vogliamo continuare a essere politicamente scorretti, anche con gli animali?

Allora, che ne dite del grugnito del maiale, che grufola (gru, gru, gru). Sì, è vero che c’entra l’onomatopea, ma quella U lo mette subito in una posizione critica: il timbro grave fa sì che immaginiamo puzza, sporco. rotolamenti nello sterco . Povero porco, subito associato al putridume, al pattume, al sudiciume, alla pupù. Puah!

Anche l’UpUpa non si rende simpatica,  a causa del suo canto così monotono, tutto impostato sulla U: “hu hu hù, hu hu hù seguito da uno stridore fastidiosissimo: a causa di tutta quella U e del suo nome che in italiano lo contiene, è accaduto che persino i poeti, sbagliando, l’abbiano considerata un uccello lugubre e nottuno: cosa completamente falsa perché in realtà è un uccello diurno. Il Foscolo ha osato scrivere nei Sepolcri: 

«…. E uscir del teschio, ove fuggìa la Luna,

l’upupa, e svolazzar su per le croci  

sparse per la funerea campagna 

e l’immonda accusar col luttuoso  

singulto i rai di che son pie le stelle  

alle obblîate sepolture….» 

Dunque la poveretta è stata associata fonosimbolicamente a ciò che è cupo, buio, lugubre.

Anche il gufo, in quanto a simpatie, non è messo meglio, ma almeno un uccello notturno, che bubola, lo è per davvero. Nelle mie notti estive  su un’isola del Mediterraneo sono circondata dal canto dell’assiuolo, gufo molto piccolo dagli occhi gialli, con i quali ipnotizza le sue prede. Io sono ipnotizzata dal suo canto (Chiù, chiù….); dopo un po’ smette, ma non ci si può illudere, riprenderà dopo pochi secondi e continuerà instancabile tutta la notte: meglio accettarlo e rassegnarsi.

L’usignolo ha senz’altro miglior fortuna non solo perché il suo nome contiene una sola U, ma anche perché ha un canto famoso per la sua bellezza.

Pascoli, quando voleva spaventarci della “notte nera come il nulla”, usava a profusione la allitterazioni in U:  

«E nella notte nera come il nulla,

A un tratto, col fragor d’arduo dirupo

Che frana, il tuono rimbombò di schianto:

Rimbombò, rimbalzò, rotolò cupo…»

«Uhm»: sento un’esclamazione di incertezza; qualcuno non è d’accordo? 

Nel fumetto qualcuno sobbalza? «Ugh!». 

«Uff: che seccatura!»

Per articolare le U dobbiamo restringere la bocca, poi dobbiamo protendere le labbra, in modo da lasciare una piccolissima cavità circolare; dobbiamo anche far arretrare la lingua verso la parte posteriore della cavità orale; articolando il suono dobbiamo mettere in campo armoniche di bassa frequenza. È naturale che ci troviamo nel campo  dei grugniti, dei mugugni. È stato osservato  che quella nostra azione di mettere la bocca e le labbra “a trombetta” assomiglia molto alla mimesi di qualcosa di tubolare e di affusolato.

Non se la prenda a male il lettore (o ascoltatore), se terminerò con le parole di Molière, nel Borghese Gentiluomo, Atto II, scena 4 ( Due interlocutori: il Maestro di Filosofia e Monsieur Jourdain):

MAESTRO DI FILOSOFIA: La vocale U si forma avvicinando i denti, ma senza farli toccare, e

sporgendo le labbra in fuori, avvicinandole l’una all’altra, ma senza chiuderle : U.

JOURDAIN: U, U. Non c’è nulla di più vero: U.

MAESTRO DI FILOSOFIA: Le vostre labbra non si allungano come se faceste il muso? Difatti

se volete fare uno sberleffo a qualcuno o prenderlo in giro, basta che gli facciate : U.

JOURDAIN: U, U. Ma é vero ! Ah, ma perché non ho studiato prima per imparare tutto questo ?

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