LA VOCE IMPAZIENTE. VIAGGIO NELLA POESIA (19, 20) di Grazia Valente
19. La condizione per la creazione
Ma, se quanto detto sopra è vero, crediamo sia anche innegabile che una delle condizioni per una piena e soddisfacente creatività sia quella che si realizza attraverso il superamento dell’istinto, inteso come intelligenza degradata, mediante un atto di sublimazione che trasfiguri e innalzi questa parte del nostro “essere”, in obbedienza a un imperativo morale. La sensibilità del poeta può essere uno strumento essenziale per il raggiungimento di tale fine, ma deve trattarsi di sensibilità di livello superiore alla norma.
al poeta son toccati in sorte
la vista del sordo
e l’udito del cieco
20. La sensibilità del poeta
Una sensibilità che sia andata via via affinandosi, resa più acuta dalla necessità di vedere la realtà oltre il visibile, di sentirla oltre l’udibile. Sensibilità intesa come capacità di partecipazione alle emozioni dell’altro attraverso una particolare ricettività, ma anche sensibilità di tipo percettivo, vale a dire, per servirci di una definizione usata in psicologia, quel particolare tipo di sensibilità che “avvalendosi soltanto di indizi, ricostruisce il significato dell’oggetto”.
il poeta nasconde il suo nido
tra i rami più alti
i primi a vibrare
ai moti del vento
Dall’alto si capta meglio, si ricevono per primi le avvisaglie dei cambiamenti di tempo. La posizione in alto non va comunque intesa come l’affermazione di una superiorità. Essa si rende necessaria per evitare i rumori di disturbo che si concentrano in basso. “La poesia nasce dal silenzio”. ( Wislawa Szymborska). Ma non solo questo. Nidificare in alto significa anche mettere al riparo le nostre poesie, le quali altro non sono che le nostre emozioni, dai pericoli della vita quotidiana, ossia dalla morsa delle necessità contingenti che ciascuno di noi è costretto ad affrontare. E comunque la creazione è sempre un momento di solitudine.
La simbologia dell’albero vuole altresì significare la necessità, per usare un’espressione non molto lirica ma efficace, di restare con i piedi per terra, non soltanto nel senso di non allontanarsi dalla realtà, ma anche perché è proprio dalle radici che l’albero trae il nutrimento indispensabile alla sua stessa vita.
Ma non necessariamente il poeta possiede un’unica sensibilità. E la scrittura, in quanto emanazione diretta del poeta , può essere la proiezione delle diverse sensibilità del poeta stesso, che coesistono e si manifestano con modalità e stili diversi, legati anche ai diversi stati d’animo. Sciocco è quindi, a nostro parere, voler dividere i poeti tra “tristi” e “allegri”, quasi si trattasse di oggetti di catalogo.
i poeti non sono né tristi né allegri
ma voci di un unico canto
che si fa rauco
quando la vita stringe il suo laccio
Quindi è insensato parlare di poesia allegra o triste, ma importante sarebbe capire se ci troviamo di fronte a poesia “vera”, vale a dire – concetto già espresso sopra – riflesso diretto dell’umanità del poeta.
Secondo Croce, “la poesia nasce da un desiderio insoddisfatto, poiché dal desiderio soddisfatto non nasce niente”. In quanto tale, quindi, è più probabile che la poesia sia … triste. Ma non è detto: se è presente il gioco ironico, questo può mascherare quel sentimento. Esiste però sempre, a nostro parere, l’equivoco di fondo tra il fare poesia e il verseggiare. Si tratta di cose alquanto diverse, che conducono quindi a risultati molto diversi. Ma non intendiamo trattare questo aspetto, che aprirebbe un discorso troppo vasto e, soprattutto, lontano dallo spirito che anima questo lavoro, che non è un saggio critico sulla poesia in generale, ma l’esplorazione, da parte di una persona che scrive poesie, del proprio mondo poetico, per condividerlo con altri Anche se, più avanti, alcuni temi saranno riconducibili a questo argomento.