LA VOCE IMPAZIENTE. VIAGGIO NELLA POESIA (11, 12) di Grazia Valente
11. La poesia come intrattenimento
Ma allora, se la poesia nasce da un dolore, da un tormento o comunque da una situazione di sofferenza, sia pure sotto traccia, sia pure controllata, essa non può certo essere considerata un’attività ludica, un passatempo. La poesia come intrattenimento, la poesia che diventa spettacolo, che “va in scena”, a mio parere non può essere chiamata poesia. Quest’ultima, infatti, contiene, o dovrebbe contenere, già tutto in sé, suono-immagine-pensiero. Ascoltando (o leggendo) una poesia, noi assistiamo a una rappresentazione speciale, unica, che non ha bisogno di luci, attori o fondali: la rappresentazione del mondo del poeta, il monologo della sua anima.
Non avrete parole levigate
quale premio per la vostra attenzione,
sono le antiche, feroci cicatrici
a dettare, severe, le leggi.
E qui entra in campo, a mio parere, il cosiddetto “vissuto” di ciascuno e la risposta emotiva che a tale vissuto è stata data. Da una vita senza vere scosse, vissuta emotivamente in superficie, non può nascere altro che chiacchiera inutile, sia pure in versi. E’ sempre il dolore sofferto, la ferita che ancora duole, a “spingere al tavolo di lavoro”, come diceva Brecht. Anche se, ovviamente, non tutti rispondiamo con uguale intensità agli avvenimenti (Cvetaeva: “una persona legge il Werther e si tira un colpo di pistola, un’altra legge lo stesso libro e decide di vivere”).
Il fiore misterioso della poesia
non è mai nato sui campi da golf
ma tra le crepe di lava annerita
terra ferita
sempre pronta a esplodere.
E’ certamente vero che la terra vulcanica è molto fertile, ma quale prezzo deve pagare la vita che lì vi nasce! La sofferenza, come la lava che ribolle dentro al vulcano, è sempre pronta a irrompere nel mondo del poeta. Ma, quando la terra si richiuderà sulle ferite, tra le crepe nascerà la poesia.
12. La poesia come rifugio
La poesia può anche diventare un rifugio per il nostro dolore. Anzi, il rifugio per eccellenza, il luogo dove il dolore viene custodito, tenuto al riparo dagli agenti esterni, vale a dire dalla società.
Se cerchi un nascondiglio sicuro
al dolore
chiudilo in un verso.
Sia pure estraneo
chi li ritrova
certo
non ti sarà nemico.
Nel poeta vive sempre la speranza che chi lo legge comprenda le sue parole e, anche se non le condivide, sia indulgente e disposto all’ascolto. Poiché il poeta è disarmato nella sua poesia, con la quale egli si rivela, si espone, si consegna al proprio lettore. E noi tutti sappiamo come il dolore isoli, allontani. Ancora Brecht, in “Brutti tempi per la lirica”: “”lo so: piace soltanto / chi è felice. La sua voce / volentieri la si ascolta …””. Nessuno ha voglia di ascoltare la sofferenza dell’altro, è più facile prestare ascolto alla sofferenza del mondo… è così lontana che sì, possiamo sopportarla. Ma non il lamento del vicino …E così, tramite la poesia, il dolore cerca una via diversa per farsi ascoltare.