VIAGGIO DI UN TARLO IN UN’OTTAVA racconto di Letizia Gariglio (Prima Parte)
Fatti non foste a viver come bruchi
ma per seguir virtude e conoscenza.
Se fossero passati mesi o anni non lo sapeva. In quel rifugio accogliente aveva trovato la nicchia ideale, con microclima temperato in tutte le stagioni. La vicinanza al grande finestrone a sud garantiva buona esposizione al sole in estate; la prossimità del camino forniva protezione dal freddo e tepore assicurato in inverno. Sua madre aveva provveduto per lui, deponendolo con tutto il suo affetto in un piccolo foro, quasi un’abrasione, dove lui aveva potuto svilupparsi senza pericoli; aveva fatto in modo, prima di allontanarsi, che lui fosse fornito di tutto il nutrimento necessario: cellulosa di qualità e buon amido.
Cercava ora di rammentare quanti inverni e quante estati fossero trascorsi, ma, più ci pensava, più il suo passato gli sembrava una linea ininterrotta di dolcezze, che lui aveva fino a ora goduto in modo incosciente. Gli veniva il dubbio che forse si era trattato solo di settimane, ma che importa? Il tempo lo aveva guidato nel suo percorso in galleria e gli aveva fornito al momento giusto gli strumenti adatti per continuare.
«C’è un tempo per ogni cosa», l’aveva avvertito sua madre prima di allontanarsi, «segui la natura e troverai la tua strada». Una sottile nostalgia lo assaliva, soprattutto verso le ore del crepuscolo, quando gli altri abitanti della casa si preparavano per le ultime ore di luce, prima del sonno; allora un indicibile desiderio di rivedere sua madre gli riempiva il cuore fino al colmo. Doveva farsi forza, prima di terminare l’ultimo tratto di galleria della giornata.
Con ogni probabilità doveva aver mangiato a dismisura, se adesso si ritrovava grasso, lungo e carnoso come una bella salsiccia: forse un po’ più piccolo della salsiccia annegata in quella salsa rossa, di cui il figlio del padrone di casa si ingozzava voracemente. Anche il ragazzo a dire il vero era un bel ciccione, e con le sue dita unte afferrava panini e bottiglie di dolcissime bibite: qualche giorno prima ne aveva rovesciata un bel po’ di quella marrone, che era penetrata sotto il coperchio e era arrivata fino alle fessure, fra cui lui era stanziato. Per la prima volta lui aveva dubitato che la sua collocazione fosse perfetta, che la sua casa fosse perfetta!
«Ma in quale mondo vivo?», si era chiesto in quel momento; e aveva temuto che l’universo che lo avvolgeva non fosse completamente suo amico, non fosse totalmente al servizio della sua crescita e del suo piacere. Insomma aveva temuto che il cosmo non fosse lì allo scopo per cui lui aveva sempre pensato che vi fosse stato messo: esistere per lui.
Si era preso una momentanea consolazione dando un’assaggiatina al liquido dolciastro penetrato nei suoi anfratti. Ma sinceramente lo aveva trovato disgustoso! Per non bagnarsi del tutto si era rannicchiato come meglio poteva, ma stare tutto accorciato lo infastidiva terribilmente Non resisteva più in quella posizione, non ci era abituato. Contraendosi in una serie di movimenti serpentini, tutto il suo corpo stava ora esprimendo il suo fastidio: si accorciava e si allungava, si contraeva e si espandeva.
Chi dice che le larve non facciano nulla? Chi dice che trascorrano la loro vita inattive, mollemente sdraiate nei loro rifugi? Lui si sentiva una larva attiva, forte, guerriera, pronta a combattere per ritagliarsi la propria fetta di vita e di mondo. Diede una spinta più forte, mentre le sue mascelle l’aiutavano a divincolarsi da quella specie di vestito, o scafandro, in cui gli pareva di essere avvolto, e con un ulteriore sforzo più intenso riuscì finalmente a mettere fuori la testa.