QUANDO I “PAMPINI” ERANO BUGIARDI. RECENSIONE ANACRONISTICA di Letizia Gariglio
Leggerete qui la recensione di un libro uscito per le edizioni Guaraldi… nel 1972. S’intitola I pampini bugiardi e ne sono autori Marisa Bonazzi e Umberto Eco; contiene un’indagine sui libri «al di sopra di ogni sospetto»: i testi delle scuole elementari.
Allora si chiamava “scuola elementare” quella che oggi di definisce “scuola primaria”, ma le bestialità contenute nei libri di testo indagati dai due autori sono indegne di esistere nel mondo della scuola. Il titolo del volume gioca con i termini pampìni/ bambini ma anche con pàmpini, parola che diletta il lettore di alcune pagine fra poesiole e raccontini presi in esame, insieme ad alcune casette piccine picciò, antichi princisbecchi, curcume posate su madie di pani profumati, e così via…in un rigoglio di immagini e sensazioni degne di Arcadia, dedita ai piaceri di vita pastorale, fra canti e doni della natura.
Perché parlarne oggi? Il mondo è totalmente cambiato dagli anni ’70, è drasticamente cambiata la scuola e i relativi libri. Eppure a me pare che, allo stesso modo di ieri, i libri di testo continuino a proporre e a presentare una realtà inesistente. Anche se non è più la nostra Italietta l’ambiente di riferimento, e i libri si travestono di (falso) internazionalismo, di ipocrita accettazione di un nuovo tipo di famiglia (la famiglia allargata), anche se l’amor di patria e dei principi religiosi sono drasticamente arretrati, ultimi della fila, mentre si fanno avanti (false) problematiche climatiche, e altri problemi, tutti rigorosamente – mi raccomando! – di origine antropica.
Cambiano molto, oggi, le scelte di alcuni parametri: l’importanza del colore, delle illustrazioni, delle immagini, delle fotografie; cambiano i riferimenti sociali e ambientali, si sono aggiunti alcuni dati tecnici e scientifici, ma rimane sostanzialmente lo stesso modo di presentare piccole porzioni di realtà, delle quasi-realtà.
Oggi non si insiste più tanto sulle mamme che lavano e stirano, ma rimane la sensazione che molti riferimenti suonino falsi, spesso persino grotteschi. Oggi, come ieri, i libri di testo dicono molte bugie, contribuiscono a delineare una realtà edulcorata, fatta di luoghi comuni.
I testi contenuti nel libro dei “pampini bugiardi”presentano contenuti e forme stilistiche che oggi appaiono dell’altro mondo, e a pensarci bene è davvero un altro mondo, ma vi assicuro che apparivano così già allora: un quadretto di stile arcadico in cui il tempo si era cristallizzato, un concentrato, già allora, di arretratezze e piccole bestialità stereotipate. A rileggerle, certe fandonie, non si può fare a meno di aspirare il profumo di messi rigogliose, di campi profumati di fiori, non si può fare a meno di udire lo scampanio delle campane delle chiese del paese, lo sventolio dei bianchi panni stesi, il canto degli stornelli… Insomma in quei libri abbondavano dati di dannunzianesimo tra l’agreste e il pre-industriale; in quelli odierni abbonda la preoccupazione per la semplificazione, la facilitazione, l’inclusività, si patisce per una chiara riduzione lessicale, per una sovrabbondanza di elementi visivi, al fine di facilitare la comprensione. Vi sono inseriti schemi e mappe (che invece dovrebbero essere tracciati dagli allievi stessi), tabelle riassuntive, schede di collegamento fra paragrafi e capitoli, sintesi, sintesi delle sintesi, sintesi delle sintesi delle… devo continuare?
Oggi si curano (non so con quale risultato) i materiali multimediali, i riassunti vocali; grande attenzione va alle consegne degli esercizi, sempre più semplici, più povere, più frammentate e paratattiche. I libri scolastici si affannano ad attivare forme di insegnamento che attivino strategie per stimolare le competenze, il probelm-solving, l’apprendimento cooperativo. Almeno, così dicono, così dichiarano le loro intenzioni.
Purtroppo, però, rimangono ancora molte mamme che stendono panni e lavano piatti, mentre i papà continuano a leggere il giornale.
Ma torniamo alla nostra “recensione”.
I Pampini bugiardi metteva in evidenza, quali protagonisti principali di quelle pagine, i poveri. «Il più delle volte il povero», scriveva Eco, «appare solo perché sia affermata ad alta voce la sua condizione privilegiata, la sua serena felicità, la sua vicinanza a Dio, l’immenso piacere che egli trae dalla sua presunta sventura». E infatti i poveri appaiono come i veri fortunati:
«La gente ricca» si scriveva in un libro di testo «ha tanto da mangiare e può vivere in ozio, e questo provoca spesso delle malattie che la gente povera, per grazia di Dio, non conosce. Ci sono dei mali che si annidano soltanto nei piatti, nei bicchieri, nelle poltrone di seta e nei morbidi letti».
Tutti avvertiti!
Il denaro è un grande peso che solo i poveri riescono ad evitare (fortunati loro!), mentre costituisce un inevitabile impegno per i ricchi, sottomessi a grandissimi rischi. Ieri come oggi i ricchi si palesavano per ciò che veramente erano: benefattori dell’umanità. Eccoli:
«… Rockefeller fu prima sagrestano, poi modesto impiegato, infine “re del petrolio”. Credeva fermamente in Dio e amava il suo prossimo. Un giorno il Signore parlò al suo cuore: “Cosa me ne faccio di tanti dollari?” Pensa e ripensa… spese somme favolose per istituzioni sociali: biblioteche, ospedali, istituti, opere pubbliche».
Che bravo, vero? Allora non andavano ancora tanto di moda i vaccini, altrimenti…
Qualche volta persino fra i poveri si annidavano i perversi: non solo non donavano grosse somme, ma erano veramente avari; sentite questa:
«C’era una volta un contadino piuttosto taccagno. Quando venne il giorno di ammazzare il maialino, per farne salumi e prosciutti per l’inverno, il contadino cominciò a lamentarsi che di tutta quella grazia di Dio avrebbe dovuto darne la metà al padrone».
Inutile dire che la storia citata finiva malissimo, con la punizione dello spilorcio.
I lavoratori del ’72, malgrado il boom economico che aveva già raggiunto il suo apice, su quei libri erano ancora tutti zappatori, seminatori, aratori, talvolta fabbri o minatori, tutt’al più legnaioli; assenti gli operai e gli impiegati.
«Stride la pialla, picchia il martello / Canta la sega, fischia il succhiello. / E finalmente canta il lavoro / che a tutti i bimbi porta un tesoro».
Pullulano gli eroi, colpiti a morte, mutilati, colpiti al petto sgorgante sangue, falciati dalla mitraglia. L’esaltazione va soprattutto all’eroe fanciullo; ecco un testo esplicativo:
«All’assalto era come loro.
“Posso raccogliere un fucile?”, chiese un tenente.
“Prendilo!”
Il ragazzo sgambettò contento fra i cespugli.
Al secondo contrattacco scomparve. Lo ritrovarono, disteso nel suo sangue, con il petto squarciato ».
Fine del racconto.
E la scuola… ah, la scuola… una piccola chiesa…:
«La scuola è proprio come una chiesetta / che i suoi fedeli aspetta: / aspetta i suoi fedeli ogni mattina / questa allegra chiesina». Perché, state a sentire: «Lo studio, bimbi, in certa qual maniera, / è anch’esso una preghiera».
Negli anni ’70 le differenze etniche suscitavano simpatia e comprensione e delle razze si metteva in risalto la differenza… ma con sottile razzismo. Così leggiamo:
«L’Arabo ha due grandi affetti: il cammello e la palma. Non conosce patria e ha una rudimentale coscienza nazionale…»
Quanto ai cinesi:
«I cinesi mangiano carne soltanto nei giorni di festa. Il loro cibo preferito è il riso: riso al mattino, riso a mezzogiorno, riso alla sera…»
Mentre i Lapponi:
«Ghiottoni dallo stomaco di struzzo i pacifici Lapponi bevo l’olio di merluzzo».
Meno male che nelle pagine dei libri campeggiava l’esaltazione della famiglia italiana, formata come nucleo ideale, ma, non c’è da dubitarne, sempre contrassegnata da una decorosa povertà, e dalla schiavitù delle donne.
L’educazione civica è golosa occasione per mescolare una melensa brodaglia di buone intenzioni caritatevoli e per rendere biologici i ruoli delle autorità, riportandoli in un piccolo quadretto familiare, comparando il ruolo pubblico a quello privato. Così il sindaco fa la parte del buon papà, e la patria fa la parte della mamma:
« “Sono proprio io – il Sindaco; andiamo, figliuoli”. E mentre salgono per un ampio scalone di marmo, il Sindaco aggiunge: “ Il Sindaco è come il babbo di tutti i cittadini».
E ancora:
«La Patria è come la mamma / che ti portò sui ginocchi: / la specchi nel fondo degli occhi: /la celi nel cuore: una fiamma, / un fuoco vivo d’amore».
Malgrado le sviolinate evidentemente l’amor patrio non basta a frenare il fenomeno dell’emigrazione:
«Nessun alto Paese del mondo ha dato agli altri una mole così formidabile di lavoro come il nostro. Vi sono Paesi oltre Atlantico in cui tutto quello che richiese la fatica, è nato dalla fatica italiana. Ovunque occorrevano muscoli, arrivavano gli italiani, tenaci, ingegnosi, pazienti, tolleranti», Aggiungerei: modesti.
Nel ’72 nei libri di testo delle elementari c’era ancora la prova delle sfruttamento dei bambini nel lavoro.
«L’alba imbianca appena la nebbia umida e fredda, e già il campanello squilla. È l’amico lattaio che mi porta il latte. Corro ad aprirgli. Egli mi saluta e mi sorride allegro. Ha undici anni…»
Ancora:
«Turi, di sedici anni, e Saro di tredici, erano amici, quasi come fratelli. Lavoravano insieme nella parte più profonda della solfara; faticavano duramente, per dieci ore al giorno».
Si potrebbe continuare ancora.
Il meglio dei libri di testo lo dà lo studio della storia, dove la preoccupazione principale si rivela essere «non urtare la sensibilità di nessuno, risultato che si raggiunge dando un colpo al cerchio e l’altro alla botte». Imbalsamate sono le interpretazioni della storia più recente, soprattutto del fascismo e della Resistenza, talvolta comicamente libere certe interpretazioni della storia più antica. Per esempio: com’era la vita nel Trecento, ci si chiede. E così si risponde:
«In gran conto era l’arte della cucina e sulle mense non mancavano legumi e ortaggi. Per il pane vi erano pubblici fornai».
Cosa facevano le donne?
«La donna passava il suo tempo nello stendere la biancheria al sole, tra il pane nella madia, spolverare, filare».
Erano illuminate le città?
«Per l’illuminazione i cittadini provvedevano, accendendo, dinanzi alle immagini della Madonna, piccole lampade a olio».
Al confronto il ‘500 è tutto uno sfavillio di lusso e agiatezza, un sorgere di palazzi sontuosi, edifici ammirevoli, strade, piazze, fontane. Per una (rara) volta la povertà è gabbata dalle «ville eleganti, circondate da splendidi parchi, ricchi di fontane e statue».
È evidente che nessuna riflessione è riservata alle differenze fra classi popolari e classi agiate.
Il primato delle scemenze se lo gioca, insieme alla storia, l’insegnamento delle scienze, con la “spinosa” questione della riproduzione umana, Come sorvolare? Non erano evidentemente tempi in cui si potesse rivelare la presenza di certi organi riproduttivi nel corpo umano, né tantomeno la loro funzione. Si usava un espediente per così dire divino:
«Una macchina meravigliosa, il nostro corpo umano, si rimane sbalorditi di fronte al mistero della nascita e della morte, della crescita e del pensiero. Di fronte ad essa non ci resta che ammirare e lodare la potenza di Dio, il solo che poteva costruire un congegno materiale e spirituale così grande e così meraviglioso».
Nell’anno 1970 l’analisi dei libri di testo nella scuola elementare fu soggetto di uno spettacolo teatrale messo in scena dal Collettivo Teatrale di Torino (che in seguito si denominò Collettivo Nuovi Gobbi). Quello spettacolo, Il saggio dei bravi bambini della scuola elementare, anticipava di due anni i contenuti del volume di Guaraldi.