LA VOCE IMPAZIENTE. VIAGGIO NELLA POESIA (4, 5, 6) di Grazia Valente
4. L’ambizione del poeta
Questa riflessione porta con sé un’altra considerazione: quella che il poeta dovrebbe essere ambizioso. In che senso? Un’ambizione che si esprima non tanto per il raggiungimento di particolari riconoscimenti (ma questa, a nostro parere, non è la vera ambizione, definita dallo Zingarelli “brama sfrenata di successo”, ma piuttosto quella che potremmo definire “ambizione positiva”, vale a dire l’umano desiderio di vedere riconosciuti i propri meriti, se ve ne sono), ma ambizione nei confronti della propria poesia, che il poeta non dovrebbe temere di sottoporre al vaglio di una severa, purché seria a motivata, critica. Severa ma propositiva, feconda. Purtroppo, è raro incontrare buoni critici. Secondo Montaigne, la buona critica è più rara della poesia stessa. Ciò che accade di incontrare spesso sono quelle critiche dotte e fumose, oppure che “sminuzzano l’opera per fare sfoggio della propria diligenza e sottigliezza scolaresca” (Croce). La Cvetaeva scrive, a proposito dei critici-poeti, che “primo dovere di un critico di poesia è quello di non scrivere brutte poesie”. Questo confine opererebbe già una notevole selezione …
Secondo De Sanctis “la critica è fondata sulla verità e freschezza delle prime impressioni. Si dice che il poeta nasce, anche nel critico c’è una parte geniale che gli dà la natura”.
Ritornando al discorso sull’ambizione del poeta, ricordiamo le parole di Cvetaeva: “Dopo aver scritto delle poesie posso leggerle da un palcoscenico e acquisire la gloria o la morte. Ma se è a questo che penso mentre mi metto al lavoro, non le scriverò oppure le scriverò in modo tale che non meriteranno né gloria né morte”. E ancora: “I versi dovrebbero essere come i nostri figli, che desideriamo vadano in giro per il mondo in modo da essere apprezzati e, di conseguenza, un poco di tale apprezzamento si rifletta anche sul poeta-genitore”. E aggiungeva: “Non scrivo per milioni [di persone], non per uno solo, non per me. Scrivo per la poesia stessa. E’ lei che, tramite me, si scrive. Quando viene scritta, l’opera ha in se stessa il suo fine”.
5. L’importanza di essere selettivi
Ma, se il poeta deve essere ambizioso, anche le sue letture dovrebbero rispettare questo principio.
Non è certo una scoperta quella che noi siamo un poco anche quello che leggiamo (oltre che quello che mangiamo …). E se i grandi poeti devono essere i nostri “testi sacri”, la grande letteratura dovrebbe essere comunque il nostro nutrimento spirituale privilegiato.
Secondo Croce, “i vocabolari ed i libri di grammatica non hanno mai insegnato ad alcuno a parlare e a scrivere, le quali cose si apprendono solo dal conversare e dalla lettura degli scrittori”.
Se un libro non ti ustiona la mente
allora merita il fuoco.
Un libro dovrebbe lasciare una traccia violenta dentro di noi. Se non suscita emozioni, se non “rivela” qualcosa, se non lascia questo segno rosso del suo passaggio nella nostra anima e nel nostro cervello, meglio metaforicamente bruciarlo, ossia ignorarlo.
Croce sosteneva che i forti pensatori sono quasi sempre forti scrittori; ed è di questo che la poesia ha bisogno: di pensiero autentico, originale, lontanissimo dall’insulso chiacchiericcio che, per certi aspetti, è diventato il rumore di fondo di questo nostro tempo. E’ quindi indispensabile disfarsi del ciarpame letterario, che è di ostacolo alla nostra formazione. E’ necessario essere selettivi, poiché il tempo che abbiamo a disposizione per la nostra crescita non è illimitato.
6. La poesia come crescita individuale
Poiché il poeta ha bisogno, come tutti, di crescere. Ma, in quanto poeta, ha bisogno di crescere due volte, come individuo e come poeta, vale a dire nella propria arte.
Sei ritornata, poesia,
dopo un breve silenzio imbronciato.
Per me sei il cucchiaio di latta
che bambina battevo sul piatto:
senza di lui
non sarei mai cresciuta.
Il bisogno di crescere è prepotente, perentorio come il battere del cucchiaio del bambino, che non è ancora padrone del linguaggio ma lo è perfettamente della gestualità. Molti disturbi della personalità sono dovuti, a nostro parere, alla non volontà di crescere, al rifiuto della psiche di rapportarsi con la realtà esterna, portatrice anche di sofferenza. Poiché per crescere bisogna cercare, scavare, portare alla luce, entrare in noi stessi e, nello stesso tempo, uscirne, alla scoperta di come siamo realmente; e nello stesso momento osservarci con distacco, per poterci modificare, correggendoci. E la poesia può essere di aiuto, perché facilita l’introspezione, la messa a fuoco di situazioni reali che sarebbero altrimenti destinate a rimanere in ombra. La crescita, come abbiamo già detto, inizia da una autovalutazione realistica. E l’atto di crescere non è mai indolore, in quanto costringe a ripensare sempre criticamente noi stessi e le conseguenze delle nostre azioni. Scegliendo e scartando, eliminando e arricchendo, regoliamo continuamente la rotta sul nostro spesso accidentato percorso. E questo, lo ripetiamo, genera dolore. E anche l’individuo-poeta scava e cerca, scarta e sceglie. “Così, lavorando ed errando, il poeta si forma. Il poeta impara, come tutti nella vita il mestier loro, a proprie spese.” (Croce).