INCONTRO IMPOSSIBILE NELLA VALLE DEL GIORDANO di P. P. Roe (Pietro Paolo Capriolo)
Incontro impossibile, nella valle del Giordano
«Incantato! Signora Giuditta, me lo lasci dire. Quanto a lei, generale Oloferne, sono onorato di fare la sua conoscenza.
Quando dall’Agenzia mi hanno comunicato i vostri nominativi abbinati, confesso che ho sobbalzato dallo stupore e, al contempo, ho provato timore di non poter condurre serenamente l’intervista, paventando il rischio che degenerasse in una sorta di talk show rissoso e pieno d’ingiurie come siamo ormai abituati a vedere nel nostro tempo. Ipotizzavo incontri separati, ma oramai eccovi qui».
Giud. «Si rassicuri. Sono secoli che i nostri nomi sono così concatenati che sarebbe difficile evocare l’una senza richiamare anche l’altro».
Olof. «Sì, abbiamo tanto in comune…»
Giud. «Lui vuol dire che ciò che ci accomuna non è tanto il vissuto insieme, del resto brevissimo -questione di giorni!- quanto il seguito post mortem che ci ha legati indissolubilmente e ci ha resi per così dire immortali».
Olof. «Post mortem, certo, ma il mio trapasso è avvenuto ben prima e proprio per mano sua. Signor intervistatore, non voglio minare le rassicurazioni che ha avuto dall’Agenzia, ma voglio precisare che, qui, a tutti gli effetti, la vittima sono pur sempre io!»
Giud. «Oh, non ci badi troppo. Questo lo dice sempre, come da copione. È innegabile, è andata così, ma atteggiarsi a vittima, suvvia… E le sue vittime, quelle che avrebbe causato al mio popolo, non le mettiamo in conto?»
Olof. «Per intanto non sono avvenute. E comunque si sarebbe trattato di strategia militare, di danni collaterali, d’esecuzione di ordini superiori. Ne ho di motivazioni e, a proposito, come dite voi europei: “À la guerre, comme à la guerre!”»
«Permettetemi che faccia un breve résumé per confrontare informazioni e risultati delle mie ricerche con la realtà dei fatti che voi potrete confermare, smentire o integrare».
Giud. «La realtà dei fatti, dice? C’è parecchio di opinabile…»
Olof. «Creda, in questo la signora ha ragione. Ci dica per intanto che cosa sa lei di noi. Magari avrà da stupirsi».
«Per certo so che voi siete entrambi figure bibliche, descritte esclusivamente nel cosiddetto “libro di Giuditta”, uno dei soli tre che portino il nome di una donna, con quello della regina Ester e quello di Rut, l’antenata del re Davide».
Olof. «Ben detto: cosiddetto libro di questa mia associata omicida. Sa che nemmeno i discendenti della sua gente lo riconoscono nel loro canone? Anche Lutero lo epurò dalla sua bibbia».
Giud. «Ma è una questione di filologia, di lingua greca in cui fu tramandato. Lutero poi, secondo me, lo fa per gratuita misoginia. Eppoi, caro generale e stratega da quattro soldi, rifletti bene: se il mio libro non avesse ragione d’essere, dalla storia scompariresti anche tu».
«Che so essere comandante in capo dell’esercito di Nabucodonosor, mandato nei territori d’Occidente a vendicare il rifiutato appoggio nella vittoriosa guerra contro un altro re. La vostra comune vicenda risale a quando pose l’assedio alla città di Betulia».
Olof. «Vedo che non ci ha fatto caso. Non si chiede, come altri storici, perché per essere investito del comando supremo io venga convocato proprio a Ninive che non è la capitale di Nabucodonosor, per di più re dei babilonesi e non degli assiri da anni sottomessi, com’è scritto nel libro da lei consultato?»
Giud. «Anche Betulia, la mia patria non è mai stata collocata con precisione sullo scacchiere storico geografico, ma ciò non toglie valore alla mia impresa».
«Voi sconvolgete le mie conoscenze e mi meraviglio che ad inseminare il dubbio siate proprio voi, i protagonisti».
Olof. «La sconvolgerò anche di più: questa donna tanto celebrata non si chiamava nemmeno Giuditta, pensi un po’!»
«Ma è vero o è pura denigrazione da parte di costui?»
Giud. «Creato il personaggio, l’autore ignoto doveva pur darmi un nome. Ebbene egli scelse di farmi impersonare tutto il popolo di Giuda e coniò il neologismo Giuditta, cioè “la giudea” colei che rappresenta l’intera nazione».
Olof. «Così l’autore giustifica il suo crimine nei miei confronti come omicidio di stato. Proprio non avevo scampo».
«Non mi dica che sta per sostenere di non avere responsabilità per essersi lasciato irretire dalla sua bellezza ed aver abbassato la guardia fino al punto di addormentarsi nella tenda con lei e, per di più, con le sue stesse armi in bella vista. Errore gravissimo non aver considerato “l’arma biologica” dei giudei!»
Olof. «Sì. Non ci faccio una bella figura. Ma consideri che la tradizione del mio nome è legata quasi esclusivamente al suo libro. Non c’è una tragedia, una lamentazione funebre in onore del povero Oloferne. Tutta la narrazione ha un preciso intento celebrativo del popolo di Giuda e io non posso sfuggire al mio destino finale né alla caratterizzazione che mi riguarda».
«Stando così le cose, almeno lasciate che mi rifaccia alle mie conoscenze. Dunque, dopo aver fatto vendetta sui mancati alleati incontrati nella sua marcia ed accettata la resa incondizionata di tante città, lei si trova di fronte un popolo che confida più nel suo dio che nelle armi e non scende a scontro diretto. Nel consiglio di guerra voi assiri propendete per non attaccare direttamente gli ebrei e di adottare la tecnica dell’assedio, impedendo ogni rifornimento di acqua all’assediato. Tattica vincente, infatti Betulia alla fine sta per arrendersi, quando…»
Giud. «Quando entro in scena io. La popolazione è stremata e addirittura decide di offrirsi in schiavitù pur di aver salva la vita. I capi vengono accusati di non aver voluto offrire agli assiri la resa come le altre nazioni, ma essi riescono a temporeggiare e ad ottenere ancora cinque giorni prima della capitolazione, sperando che Dio mandi nel frattempo almeno la pioggia per riempire le cisterne».
«L’autore, a questo punto introduce la descrizione di una giovane e ricca vedova, stimata per irreprensibilità, buona amministrazione dei beni del defunto e pietà religiosa. Queste qualità le permettono, signora Giuditta, di presentarsi all’assemblea degli uomini influenti e di convincerli a darle carta bianca per un piano che loro non svela nemmeno».
Giud. «Vedova ed irreprensibile sì, ma ben conscia del potere del mio fascino sugli uomini. Quella notte uscii incontro alle vedette nemiche indossando il miglior abito, profumata ed ingioiellata di tutto punto, pronta a recitare la parte della fuggitiva da Betulia per non condividere la sorte dei concittadini che avevano provocato Dio consumando anche le quote di farina, olio e vino da inviare al tempio di Gerusalemme. Gli faccio credere che sarà l’ira stessa del Signore a piombare su di loro ed allora avrà una vittoria facile, senza combattere».
«Sappiamo tutti come andò a finire. Il generale le crede, s’illude di averla come “anticipo del bottino” (Notate che non parlo di stupro) e durante un banchetto si ubriaca e finisce nelle sue grinfie, secondo il piano architettato».
Olof. «Proprio così. È stata costei a proporsi ed a venire nella mia tenda. Non per un amplesso riservato, al riparo dall’indiscrezione della truppa, ma per sgozzarmi senza essere veduta dalle guardie».
Giud. «Solo al mattino, quando già i giudei attaccheranno, nell’andare a svegliare il generale, gli assiri lo troveranno morto ed entreranno nel panico, principiando così l’esito della sconfitta sul campo».
Olof. «Non seppero riorganizzarsi in tempo. Il mio era un esercito di ciechi esecutori, senza iniziativa. Venuto a mancare il capo…»
Giud. «Puoi ben dirlo anche in senso letterale: te l’ho staccato di netto e portato a Betulia come trofeo e prova della mia impresa, con l’aiuto della mia fedele serva».
Olof. «Quella megera che avevi sempre d’attorno. Mi fai un torto in fatto di gusti. Avevi il sospetto che potessi innamorarmi d’una serva, dal momento che l’hai scelta così brutta?»
«Suppongo per far risaltare per contrasto la propria bellezza. Però non credo che fosse una condizione indispensabile, infatti Michelangelo, pur raffigurando Giuditta di spalle, dà alla sua compagna un bel profilo…»
Giud. «Le riconosco doti di osservatore. Non tutti notano due figure di secondaria importanza che paiono incedere nel pennacchio della volta della Sistina. Il mio volto lo può solo immaginare, ma vedo che ha apprezzato quello della mia giovane compagna che regge sul capo un vassoio con dentro il capoccione ormai esangue di costui!»
Olof. «Tengo a far presente che Michelangelo, ben lontano dall’immaginare di dover affrescare poi anche la parete con il Giudizio Universale (dove firma l’opera con l’autoritratto nella pelle di san Bartolomeo scuoiato), pensò di comparire già nella volta e volle proprio darmi il suo sembiante!»
«Come, nella mia epoca, era solito fare Hitchcock nei suoi film con brevissime comparse o cammei»
Olof. «Visto che trattiamo di estetica, riprendo il mio giudizio di megera di cui sopra. Ha presente il dipinto del Caravaggio? La serva ha l’aspetto incartapecorito d’una vecchia che regge un telo e guarda con occhio vitreo la scena truculenta. La “santerellina” invece dal candido vestito nemmeno colpito da uno schizzo di sangue, pare tenere il broncio ed ha un’espressione da educanda colta impreparata all’interrogazione»
«Mi pare una critica po’ troppo sbrigativa nei confronti di un così grande artista; comunque in quest’opera, come in altre, Giuditta è sempre molto piacente»
Olof. «Ma in tutte sono io che nel tormento della morte do movimento alla scena».
Giud. «Non è sempre soltanto merito suo. Prenda ad esempio il dipinto di Artemisia Gentileschi. Lì, noi donne siamo piene d’energia e di movimento».
Olof. «La Gentileschi che fu stuprata in gioventù, pare atteggiarsi a vendicatrice su tutto il genere mascolino. La “pittora” -com’era detta- le fa tagliare una testa, ma pare estendere l’intenzione a ben altri attributi!»
«Tornando all’analisi estetica, solo dal brandire la lama si può distinguere Giuditta dalla serva, niente affatto incartapecorita. I personaggi sono tutti in movimento: il generale nello spasmo della morte repentina, la serva nel trattenerlo nudo sul letto e la padrona nel rovesciargli la testa tirandola per i capelli e troncargliela con l’altra. Le donne sono vestite: completamente la serva, mentre Giuditta mostra un décolleté rinascimentale a far risaltare la pettorale grazia tentatrice. Non so, ma direi che la Gentileschi, con sensibilità tutta femminile, accenni anche ad una fastidiosa compressione della mammella destra nello sforzo muscolare dell’eroina».
Giud. «P. P. Rubens, addirittura mi mostra scollacciata fin oltre i capezzoli. Agli artisti faceva gola un simile tema: trucida eppur santa violenza mista ad erotismo benedetto dal cielo, nello stesso contesto».
Olof. «Ma la serva lì è di nuovo vecchia. Quanto all’eros c’è chi si è trattenuto parecchio. Non parlo del casto Botticelli, ma ad esempio del Giorgione che le scopre appena una gamba fino a metà coscia, mentre mi schiaccia con il piede la testa mozzata, come fa la Madonna della classica iconografia con il serpente dell’Eden».
«Vedo che siete ben ferrati nelle opere d’arte che vi rappresentano».
Giud. «Anche questa è una forma di immortalità; date agli artisti una bibbia per ispirarsi ed i mezzi per esprimersi (colori, bronzo, marmo) e avranno sempre di che vivere e noi con loro».
«Mi indicate qualche altra opera?»
Giud. «La tela del Vasari, ad esempio».
Olof. «Dove, se davvero questa gentil signora vibrasse il colpo con la scimitarra, rischierebbe di amputarsi la mano sinistra!»
Giud. «Il bronzo del Donatello, commissionato dai Medici. Nella rivolta contro la signoria, il popolo lo volle sulla piazza a simboleggiare la libertà contro la tirannia. E lì i Medici lo lasciarono anche dopo il loro ritorno, per non urtare la sensibilità della gente».
Olof. «Anticipato caso di riconversione d’uso!»
«E di più recente?»
Giud. «Innumerevoli, ma mi va di fare un salto fino ai primi del 1900. Franz von Stuck mi dipinge immobile, in piedi e completamente nuda».
Olof. «Con uno spadone da armigero medievale che la sua esile figura non riuscirebbe a maneggiare. Inoltre nei suoi quadri, ad essere vestito ed ingioiellato sono io. Si figuri!»
«In conclusione, direi che voi due formate una strana indissolubile coppia.
Nel salutarvi, vi ringrazio per avermi consentito di condurre l’intervista senza i rischi che temevo all’inizio.
Ah, generale, quasi dimenticavo: Dante senza nominare la sua “partner” e, forse solo per azzeccare la rima, chiama le sue membra straziate “reliquie del martìro” (Pur. XII, 60). Lo sapeva?
Olof. «Sì, ma la cosa non mi consola granché».
«Però è un momento di autonoma reminiscenza, come nella citazione al Festival di Sanremo del 2022: “E io perdo la testa come Oloferne”».
Olof. «Chi lo dice?»
«È nella canzone “Abbi cura di te”. Se ne ha l’occasione, l’ascolti.
Addio ad entrambi».