VARIAZIONI (7 E 8) di Grazia Valente
7. La sofferenza delle parole
Le parole possiedono una propria sofferenza, un proprio disagio? Le parole che soffrono sono quelle che fanno soffrire? Esiste un’etica delle parole? Oppure le parole sono semplici strumenti nelle nostre mani e le dirigiamo a nostro piacere verso direzioni le più diverse, che riteniamo utili per noi in quel determinato momento? Le parole quindi nonsoffrono e non gioiscono, sono inerti, sono parole morte che giacciono nelle pagine dei dizionari e vivono soltanto nel momento in cui le animiamo, muovendole verso gli uni e gli altri oppure disponendole su di una pagina senza un interlocutore preciso, parole fiduciose che qualcuno prima o poi le leggerà e ne farà tesoro. Leonardo Sciascia, a chi lo accusava di essere troppo pessimista rispondeva: se fossi pessimista non scriverei più. Le parole sofferenti sono forse le parole sbagliate, vale a dire le parole che, da parte di autori maldestri, vengono usate in modo improprio, con sciatteria e senza la precisione necessaria per esprimere in tutta la sua complessità un pensiero, una storia, un’emozione? E quando una parola è sofferente la sua sofferenza viene trasmessa a chi la ascolta – ovviamente, se questo ascoltatore ha la sensibilità necessaria a cogliere la sofferenza – il quale la respinge, la stigmatizza e alla fine la dimentica? Dovremmo fare attenzione, noi che scriviamo, a non far soffrire le nostre parole.
8. La timidezza delle parole
Quando ci accingiamo a parlare con qualcuno ci sentiamo veramente padroni della nostra lingua? Il nostro pensiero è in quel momento nitido e pronto a essere comunicato? E, in quel caso, la nostra parola è a sua volta nitida e pronta a essere pronunciata? Oppure avvertiamo all’improvviso una timidezza, una ritrosia nell’esprimere il nostro pensiero e cerchiamo con la maggior rapidità possibile le parole giuste per affermarlo? Eppure, la timidezza con cui ci esprimiamo, la timidezza che infondiamo alle nostre parole non è di per sé un fatto negativo, nel momento in cui rappresenta lo specchio della nostra personalità. Mostrarsi sicuri di sé non sempre è sinonimo di possedere carattere, spesso costituisce una maschera che vuole celare proprio la nostra insicurezza. Nascondere la propria insicurezza è umanamente comprensibile ma può creare un danno alla nostra psiche che viene sottoposta a uno stress non indifferente. Mostrare sicurezza nel corso di un colloquio di lavoro, ad esempio, ha dei risvolti negativi nel momento in cui la persona che ci deve esaminare percepisce che il nostro è un atteggiamento costruito ad arte e ne trae la conclusione che siamo infantili e quindi inaffidabili. Non nascondere i propri limiti denota carattere e volontà di migliorare. Quindi, se la timidezza è un nostro tratto distintivo, non nascondiamola, ma usiamola. a nostro vantaggio.