PAROLE (VARIAZIONI 5 e 6) di Grazia Valente
5. Lo stillicidio delle parole
Noi ignoriamo, noi umanità, l’effetto che può provocare al nostro sistema nervoso lo stillicidio di parole e di immagini che viene rovesciato quotidianamente nelle nostre menti. La nostra scatola cranica non sappiamo esattamente quante parole/immagini è in grado di assorbire, di elaborare, di memorizzare. Riteniamo di poter ipotizzare che si tratti di quantitativi che solo un calcolatore mostruoso sarebbe in grado di calcolare.
Prendiamo ad esempio la pubblicità televisiva: ore e ore, diluite in piccoli spezzoni di pochi secondi, di scenette ripetute in uno stillicidio continuo, a qualsiasi ora, con qualsiasi programma, sia esso culturale, di informazione o di semplice evasione. Interruzioni continue, soprassalti inflitti al nostro cervello che riceve ogni parola, ogni immagine, ogni stacco musicale, sempre identico, insistente, senza poter reagire se non, ad esempio, silenziando l’audio, ma le immagini comunque scorrono, spesso ridanciane, messe in atto da comparse simili a pupazzi caricati a molla, costrette da copioni demenziali a compiere atti assurdi e ridicoli, alla fine perfino umilianti per la loro e la nostra intelligenza. Merci, merci, merci di ogni genere, in una sarabanda priva di logica, anzi, quasi alla ricerca di una disconnessione intellettiva nella quale è inutile ricercare un qualsiasi significato che non sia quello di un bombardamento mentale, che però è solo apparentemente privo di senso, in realtà è creato ad arte per confondere e annichilire il potenziale consumatore, un elettroshock studiato da esperti di marketing che riduce il potenziale fruitore a uno zombie privo di volontà propria che non sia quella di trasformarsi in cliente.
Non conosciamo l’entità di questo business, quanti miliardi girano intorno al mondo della pubblicità. Immaginiamo si tratti di cifre enormi che vengono caricate sui prezzi delle merci.
Ogni qualvolta guardiamo uno di questi spot ci viene da pensare a quanta inutile intelligenza vi è stata profusa che si sarebbe potuta incanalare in altre direzioni, finalizzate a «virtute e conoscenza».
Stacco pubblicitario.
6. Parole stagnanti
Esiste una massa di parole che finiscono nel nostro inconscio e lì rimangono sepolte? Certamente sì, lo sappiamo bene, sono le parole che non diciamo, quelle che consideriamo pericolose per la nostra vita sociale, parole che soffochiamo per paura o educazione. Parole che, se venissero pronunciate, creerebbero subbuglio, susciterebbero reazioni imprevedibili che non vogliamo affrontare. Ma dobbiamo stare attenti, perché se queste parole non dette sono troppe, si accumulano, diventano preponderanti, ristagnano nella nostra psiche, allora possono scatenare nevrosi, malattie psicosomatiche, stati di disagio psichico che finirebbero col rendere il nostro vivere quotidiano insopportabile. Le parole che non diciamo vanno trattate come un veleno che lentamente, giorno dopo giorno, intossica la nostra mente e alla fine anche il nostro corpo. Queste parole vanno quindi dosate, non dobbiamo esagerare con la loro rimozione, dovremmo piuttosto esercitarci a pronunciarle con moderazione, depotenziarle con altre parole che servono a diluirne l’efficacia. Le parole che non diciamo non sono quelle più importanti ma hanno comunque la loro importanza perché rappresentano il nostro Io nascosto, non necessariamente la parte peggiore – moralmente peggiore – del nostro Io, ma comunque la parte più sincera, perché non controllata, del nostro essere come persona, come individuo. Le parole che non diciamo non devono diventare una ragnatela dentro la quale ci sentiamo prigionieri.