TRA DANTISMI E LEOPARDISMI. L’ARTE DI STRONCARE SENZA FARE TROPPO MALE di Grazia Valente
Sfogliando diverse riviste letterarie vi si trovano, ovviamente, molte recensioni a libri usciti di recente, sia di narrativa che di poesia.
E’ impossibile non provare ammirazione per il talento di alcuni critici, veri e propri maestri nel doppio salto mortale lessicale, i quali si trovano nella difficile situazione di non poter stroncare come vorrebbero i testi che sono stati loro affidati. Spesso si tratta di autori abbonati alla rivista, o comunque fedeli lettori della stessa, anime belle che affidano i loro scritti all’Occhio Imparziale del Critico Letterario, colui che può segnare, con il suo giudizio, il destino futuro dell’opera (o così pensano gli autori).
Ci siamo quindi addentrati, un po’ per gioco e molto per genuina curiosità, nei meandri di queste recensioni, estrapolando alcune frasi che abbiamo ritenuto particolarmente efficaci, un vero e proprio repertorio della critica letteraria, notevoli, a nostro giudizio, per inventiva ma soprattutto per il tentativo spesso riuscito di non mentire troppo, salvando la propria professionalità. Una tecnica che – banalizzandola – riassumeremmo nel classico “un colpo al cerchio e un colpo alla botte”. Vi proponiamo alcuni frammenti di queste frasi che possono indurre tutti noi che scriviamo a esercitare unaserena autocritica, sempre auspicabile.
- dominio stilistico che armonizza termini appartenenti a registri stilistici e a tradizioni letterarie diverse, fondendo questo materiale magmatico.
- scelta di stile mescolato, in cui si alternano dantismi, dannunzianismi, leopardismi, che tingono di un alone aulico il dettato poetico.
- sintassi a tratti lineare a tratti invertita. (?) (Il punto interrogativo è nostro).
- lingua che non si differenzia dal codice della comunicazione corrente.
- parole che faticano a venire, raggrumate in una vita di spigoli e di pugni chiusi.
- accensioni vive all’interno di un percorso ancora acerbo.
- attenzione a non compiacersi troppo nel patetico, nella sottoepica dei derelitti a tutti i costi.
- non ricorrere a mediocri autosuggestioni di cui l’autore costella i suoi testi.
- non diluire troppo il discorso affastellando troppe cose di scarso risalto.
- lasciar perdere parole ingombranti, che creano una discromatica realtà …
- una insistita letterarietà dei modi crea qualche impaccio, anche se spesso ne esce con invenzioni felici.
- modalità fluviali che emergono anche dai singoli testi.
- non sia impaziente di concludere, cerchi maggiore autocontrollo, tagli le troppe uscite piatte o enfatiche.
- componimento prosastico anche se nervoso, internamente spezzato registrando l’ansia.
- andare al nocciolo della questione più in fretta, se no la poesia sfiora la chiacchiera.
- non concedersi pause canzonettistiche.
- leggere versi recenti per non scivolare in situazioni stantie.
- grazia e mano felice, ma non bisogna abusarne fino alla battuta, per quanto gradevole.
- decoroso sistema espressivo.
- patina letteraria che impaccia.
- versicolo sgocciolante.
- lirismi di basso profilo.
- banalità sanremesi (“non ti amo, lo so, sei solo vento”)
- capacità di usare con una certa destrezza formule banali.
- il verso libero richiede un orecchio musicale ben educato, a cogliere l’armonia complessiva del testo.
- evitare certi passaggi volutamente sconnessi e ingenuamente intellettualistici, per ottenere più scioltezza.
- occorre trovare scioltezza di pronuncia ad evitare compiacimenti nell’artificio (“a decifrar arzigogoli riuscii …”).
- trovare una disciplina. Non scrivere tutto quello che passa per la testa.
- l’autore ha qualche traccia polverosa.
- alterna uscite plausibili con soluzioni fiacche.
- verbalismo poetico sillogistico, tanto in voga presso certa esausta pseudo-avanguardia ormai di retroguardia.
- verso libero, non nel senso di privo di uno schema tradizionale, ma come dotato di un ritmo interno a scansione salmodiante.
- registro espressivo assai ampio, dove si passa disinvoltamente dall’epigramma al microracconto, dalla densa figuratività metafisica alla prosaicità delle occasioni.
- pericolo di un dire rugginoso.
- più versi per poeti che per normali lettori.
Vogliamo chiudere questa breve rassegna con una citazione tratta dal libretto “Posta letteraria” di Wyslawa Szymborska che, nel rispondere con la consueta ironia a un lettore, ammette di non usare sempre la “cortesia cinese”. E ce ne fornisce un esempio. «Oh, i cinesi, quelli sì che un tempo sapevano, prima della rivoluzione culturale, rispondere nel modo giusto al poeta non troppo dotato! I termini erano più o meno questi: “Le Sue poesie superano tutto ciò che è stato finora scritto e tutto ciò che verrà ancora scritto. Se fossero pubblicate, alla loro luce accecante impallidirebbe tutta la letteratura, e gli altri autori che ad essa si dedicano sentirebbero in modo doloroso la propria nullità”».