CÒCAMEL. PERCHÉ GLI AMERICANI CHIAMANO CAMMELLO IL DROMEDARIO di Pietro Paolo Capriolo (P.P.Roe)
Erano gli ultimi giorni dell’ormai lontano dicembre del 2000 e Baldasar LXII, come ogni lustro, si preparava alla sacra rappresentazione che aveva legato il nome di famiglia alla storia.
Scendeva annoiato la scaletta del privato bireattore rammaricandosi che le odalische del cielo non fossero più accondiscendenti come una volta, quando, partita da una scura Mercedes fattasi sotto l’ala del jet, una voce nota non lo fece trasalire: «Nonno, salta su che questa volta da Damasco a Betlemme ti do un passaggio io».
Baldasar jr. contava sulla sorpresa per provocare la spontanea e pubblica accondiscendenza del vecchio e costringerlo così ad onorare a sua volta la sacra ospitalità orientale. Sotto la sua veneranda protezione, anche il padre sceicco non gli avrebbe potuto negare una sospirata vacanza nei casinò europei, finalmente lontano da problemi di finanza e petrolio che, gravano ormai sui melanconici rampolli di casate in cui si favoleggia non più di Ali Babà, ma di ballerine svedesi ingaggiate a peso d’oro e di fortune dilapidate in una notte alla roulette.
L’auto partì e silenziosa s’allontanava sotto lo sguardo d’invidia dei comuni viaggiatori che faticano a trovare un taxi dall’aspetto non equivoco, quand’ecco prese ad andare a zigzag e dopo un brusco stridore di freni si bloccò nel centro della pista degli arrivi internazionali. I mezzi di soccorso e quelli della polizia si precipitarono anch’essi sulla pista, ma s’arrestarono tutti a cinquanta metri e più dalla preda, come altrettanti mastini alla voce del padrone che riconosce un inatteso ospite. Potenza dei telefonini e delle onde radio! La scura e blindatissima vettura ondeggiava appena e dai vetri fumé non traspariva una sola scintilla dell’arroventato duello di suppliche e minacce, di offese, ricatti e contromisure in perfetto stile caravanserraglio che intercorreva fra il vegliardo scavezzacollo che s’era permesso ogni stravizio mercé i proventi del petrolio ed il giovane finanziere con a carico non solo le sorti d’una esordiente moderna nazione, la madre e le sorelle smaniose di riscatto sociale, ma altresì gli harem degli stretti consanguinei suoi predecessori, eppur con nell’animo una sempre sopita voglia di fare altrettanto.
Oh avesse potuto parlare! Il fidato autista Camàl la Trip ci avrebbe detto che la spuntò il vecchio, pur con qualche concessione al nipote. Ce lo avrebbe confidato sottovoce, dietro giuramento di mantenerne eterno segreto. Ma per l’appunto, il fidato autista, perché ancor più taciturno diventasse, dopo vibrate e convergenti minacce di amputazione delle orecchie, di altri attributi e fin anco della testa, fu spedito ad organizzare quanto non s’era ancora provveduto e la tradizione imponeva. Non fosse mai! La fortuna della famiglia si fondava su un lontano evento sempre rinnovato ogni cinque anni nei minimi particolari. Non si poteva infrangere il cerimoniale senza preventivo accordo diplomatico con le altre due famiglie, dei Melchiorre di Bombay e di Gas(parre) Lamotta, ora trasferitosi negli States. Inoltre avrebbero causato la rovina della di lui affiliata ditta napoletana specializzata in statuette di terra cotta, insospettabile nascondiglio d’eroina.
«Se proprio vuoi staccarti da Internet e dalla borsa, vieni con me in groppa ai dromedari di Madian. Dopo questa iniziazione, il viaggio in Europa non te lo potrà negare nessuno… Caspita, è ora che impari le tradizioni di famiglia!».
Questo si azzardò poi a confessare il fidato autista, spergiurando fossero le uniche parole ricordasse si fossero scambiate i Baldasar, allorché alle minacce ancestrali dei suoi padroni s’aggiunsero quelle altrettanto spicce della polizia siriana.
Il povero Camàl la Trip s’era dunque dato alla ricerca d’un paio di mansueti dromedari. Trovò un tour operator particolarmente sensibile che si offrì di aiutarlo ad organizzare la spedizione e quando egli ebbe messa insieme tutta l’attrezzatura, preventivate le tappe, pagati i pedaggi, ecc…, baciò le mani dei novelli Magi in segno di congedo ed ignaro del suo acerbo destino, si dedicò a mantenere lucida la padronale vettura pernottando nel solito motel sulla strada di Damasco, in trepidante attesa.
Nell’ebbrezza dei ricordi deformati dagli anni e dai vizi d’alcova che il petrol-patriarca s’era concesso a piene mani e nell’inesperienza pressoché scoutistica del non più imberbe figlio del deserto, i due Baldasar, scorgendo furtive ombre aggirarsi intorno ai loro bivacchi, pensarono a discrete misure di sicurezza, anche e tanto più quando, alle ombre umane, s’accompagnavano luccicanti pròtesi dall’inequivocabile forma di kalashnikov. Di giorno poi, questa rassicurante presenza si spingeva all’eccesso; veniva addirittura compiuto il controllo degli escrementi che gli animali lasciavano dietro di sé: ogni volta dal gruppo dei fiancheggiatori s’avvicinava un giovane funzionario dell’Ufficio d’Igiene che con un bastoncino smuoveva attentamente i rifiuti organici e poi mandava segnali rassicuranti che tutto procedeva bene.
E tutto proseguì alla perfezione finché, passato l’ultimo posto di blocco con annessa dogana, ormai in territorio urbano e funestato dagli emblemi delle demoniache potenze occidentali, fiutando patatine fritte e corroboranti bollicine di Coca, l’animale sfuggì dalle mani del giovane e si diede a devastare un avamposto di Mc Donald’s. Scacciato dagli avventori ed inseguito dal sedicente servizio di sicurezza, dalla polizia verace, da ragazzi nostalgici delle sassaiole dell’intifada, da turisti divertiti, da profittatori che sanno cogliere l’attimo (nonché il dromedario) fuggente, in men che non si dica, l’animale fece perdere le sue tracce, o meglio, scomparve con sorte eguale a quella che toccherebbe ad un’avvenente, procace bionda turista scandinava che s’avventurasse sola e soletta fra le strade d’Istanbul.
Ricomparve alla buon’ora, mansueto ed epurato (cioè purgato abbondantemente affinché deponesse il prezioso carico di ben diciassette enormi ovuli ripieni di coca purissima che gli imbarazzavano l’intestino e che costituivano la quotidiana preoccupazione del giovane “funzionario dell’Ufficio d’Igiene”). Affidato alle cure della polizia locale, fotografato e schedato con il nome di Còcamel come la sigla del fascicolo dello specifico incartamento, ne diventò anche la mascotte, non azzardandosi però a dare confidenza a nessuno e da buon gobbo d’onore, non rivelò mai da chi, come e quando fosse stato imbottito di droga e così non rimase altra alternativa che interrogare i viandanti che l’avevano introdotto a Betlemme.
Ma come -direte voi- con tutto quel carico prezioso venne fatto ritrovare? Beh, non proprio con tutto. Il diciassette porta iella, si sa, e questo attirava più guai di quanto si potesse immaginare, perciò si è autorizzati a pensare che, non appena ebbe successo “l’indotto travaglio”, un diciottesimo ovulo sia stato trafugato a titolo di complice ricompensa per l’anonima soffiata e poi gestito parsimoniosamente nel tempo.
Intanto i nostri carovanieri d’alto lignaggio languivano in galera, ostinandosi loro pure a non collaborare. Uno andava provocando i carcerieri fingendosi pazzo nel proclamarsi addirittura figlio di sceicco, l’altro non faceva che invocare o stramaledire «Camàl, Camàl, Camàl!» ogni volta che gli veniva mostrata la foto del povero dromedario goloso di patatine e frizzante Coca (questa volta nella versione liquida di innocente bevanda). Altro non riuscivano a cavargli di bocca se non, ora fioca, ora veemente, una tiritera di «Camàl, Camàl, Camàl!» tanto che, se avesse assistito alla scena Dario Fo in persona, gli avrebbe senz’altro offerto una scrittura per qualche sua opera buffa.
Venne diramato l’identikit del vecchio Baldasar, ma chissà per quale inghippo tecnologico, al posto del suo viso rubizzo, andò in onda la foto segnaletica del dromedario, mentre come sottofondo s’udiva uno spezzone registrato che sospirava il nome dell’autista.
In tutto l’Oriente arabofono si capì nettamente che quello era un nome di persona e che l’intento poliziesco era far sentire la voce dell’imputato per cercare di stabilirne una più precisa identità. In ogni stazione di polizia si ritenne che tale indizio fosse però troppo vago e nessuno rispose.
Non così accadde nell’ufficio del tenente Colombo che aveva giusto allora pizzicato sul fatto Gas Lamotta. Trattandosi di periodo natalizio, il sagace italico ingegno investigativo subito subodorò la connessione con il Gaspare della triade famosa e si mise in contatto con la polizia di Betlemme. Seppe così che di Magi ne era giunto uno solo, il Melchiorre, ed il suo sospetto sulla ditta di import/export messa su dall’oriundo mediorientale si rafforzò, ma questi sono indizi degni di un’altra storia. Sempre via e-mail, gli era giunto anche l’identikit di cui già sappiamo lo scarso successo. Sentendone però la voce, Gas riconobbe il compagno di presepe vivente ed in cambio di uno sconto di pena si confidò con il tenente. Intanto l’autista Camàl, preoccupato del mancato rientro dei superiori, aveva pensato bene di riferire la cosa al suo distretto militare.
La segnalazione giunta d’oltre oceano e la concomitante denuncia di scomparsa degli sceicchi fecero collimare le coordinate nel display cerebrale del sovrintendente la polizia betlemita. Riconosciuto l’equivoco, si sprofondava in inutili scuse, anche porgendo foderati dalle brache mimetiche i villosi glutei alle nobili pedate che gli sferrava l’assatanato Baldasar LXII.
Finalmente quando il nobile vecchio fu pago di vendetta, ebbero il sopravvento più sottili e raffinate preoccupazioni. Bisognava comporre la cosa diplomaticamente affinché le luciferine agenzie di stampa occidentali non diffondessero imprudenti notizie nei confronti del popolo palestinese e dei suoi ricchi sostenitori.
Un paparazzo intanto aveva diffuso una compromettente foto del vociferante nababbo, dove sullo sfondo si distingueva nettamente anche un addolorato erede di pozzi petroliferi: l’OPEC studiava già un’autolesiva restrizione da imporre all’Occidente, Israele gongolava ostentando apparente indifferenza e le grandi potenze si diffidavano reciprocamente dall’intervenire… Il ridicolo avrebbe sommerso tutti se si fosse conosciuta la verità.
Pressioni politiche diverse imponevano di chiudere il caso ed un capro espiatorio in fondo già c’era: il malcapitato Camàl, colpevole (seppur di poca cosa, ma colpevole comunque) di non aver cioè testato la mansuetudine e la fedeltà dei dromedari fino a trovarne un paio a prova di tradimento anche sotto la lusinga di patatine e bibita frizzante. Pattuì come pena alternativa l’esilio volontario; inoltre anche la magistratura militare siriana gli riconobbe varie attenuanti generiche e giudicò meritevole di asilo politico la sollecitudine con cui aveva segnalato il mancato rientro dei suoi padroni. Non volendo però arrischiarsi a rimettersi alla loro clemenza, Camàl rinunciò all’anzianità di carriera maturata al servizio degli sceicchi, si accontentò della Mercedes di cui il vecchio non voleva più nemmeno saperne l’esistenza ed iniziò una nuova vita come conducente di taxi a Damasco.
C’era, è vero, ancora il problema dell’identikit dell’animale diramato in tutte le stazioni di polizia, ma si convenne che solo occhi esperti avrebbero distinto un primo piano di dromedario da quello di un cammello e con levantina sottile furbizia s’insinuò la diceria che la voce di sottofondo accennasse al lancinante dolore per la scomparsa del camelide preferito dal vecchio sceicco. Non pubblicano forse simili bollettini anche gli Occidentali, quando smarriscono i loro cari Fufù o Bibì?
Cessato ogni interesse investigativo, ancor più confusione riuscì a creare una manipolata agenzia americana che riferì l’episodio come una dotta disquisizione linguistica in corso fra simpatizzanti di quegli ambulanti stacanovisti della sete, una volta pomposamente chiamati vele del deserto. Il commentatore, con caratteristica inflessione californiana, spostando accenti e storpiando vocali, concluse: «L’esperto Baldasar ha sentenziato “Càmel” e Càmel alla fine si dica!».
L’immancabile sfruttamento commerciale incrementò le vendite di un noto marchio e la figurina del dromedario rappresentata sul pacchetto di sigarette continuerà con la scritta CAMEL ad attraversare sconfinate distese di sabbia giallastra ignaro di tanta responsabilità economico-lessicale che grava sulla sua unica gobba.
Dubitate che sia andata davvero così?
Suvvia riflettete: gli Americani sono all’avanguardia in tutto, perché mai avrebbero dovuto aspettare la fine di questa storia? Sanno benissimo sbagliare da soli e lo fanno da molto tempo, infatti!