SONO TORNATI di Domenico Diaferia (dai racconti “L’ultimo rapporto del commissario, 2022)
Stavo costeggiando con l’auto il cimitero lungo corso Regio Parco, quando vedo una ragazza trascinarsi a fatica per il marciapiede, vuole correre ma arranca, si appoggia al muro. Fermo subito e vado da lei. È sconvolta. Mi prende le mani e mi dice piangendo: «Mi aiuti… sono tornati… sono tornati… i morti quelli cattivi non muoiono mai… sono tornati…»
Io le chiedo: «Cosa è successo? Dove?»
«Là dentro il cimitero… sono tornati… i morti violenti ritornano sempre…»
Cerco di tranquillizzarla offrendomi di portarla in un posto sicuro. Penso subito al pronto soccorso dell’ospedale “Giovanni Bosco” poco distante. L’aiuto a salire e mentre lei cerca di sistemare la camicetta mezza aperta, io telefono subito alla polizia di zona per raccontare l’accaduto. Per dare maggiore credibilità, aggiungo che sono un commissario di polizia.
Al pronto soccorso viene subito visitata da un medico. Poi la riceve una psichiatra. Dopo un po’ chiamano me.
«Lei è un parente?»
Non dichiaro subito la mia professione. Non so perché mi viene la curiosità di vedere come si comportano con i comuni cittadini.
«No. L’ho vista sconvolta vicino al cimitero e l’ho portata subito qui. Ho avvertito la polizia: avrebbe fatto un controllo per trovare gli aggressori. Poi verrà qui per la denuncia».
«Bisogna avvertire i parenti. Adesso è ancora confusa. Dai documenti che ha con sé vedremo con la polizia di rintracciarli. Al momento rimane qui in osservazione. Capisco che voglia saperne di più, visto che è stato lei ad aiutarla. La ragazza non è stata violentata, ma dalle ferite si capisce che ci hanno provato. È stata picchiata e lei deve essersi difesa con tutte le forze. L’hanno terrorizzata ed è ancora sotto shock, continua a delirare. Ha ricordato solo che era andata a portare dei fiori sulla tomba di suo padre, presumo morto da non molto tempo, quando quei “morti” l’hanno afferrata alle spalle».
«E degli aggressori, una descrizione?…»
«Che aspetto hanno i morti secondo lei? Brutti e cattivi…»
Più tardi arrivarono i due poliziotti. Uno andò subito a parlare con i medici. Domandai all’altro rimasto fuori se erano riusciti a trovare qualcuno.
«No, sono spariti. Il cimitero è grande ed è facile scappare scavalcando i cancelli o i muri. Non sappiamo ancora chi sono, ma questa volta i farabutti hanno lascito ben chiara la firma. Il cimitero ebraico è stato devastato e imbrattato di svastiche. E così tutte le pareti con le lapidi dei partigiani, spaccate e ricoperte dei soliti slogan “Dux”, “Torneremo” e frasi del genere. Secondo noi la ragazza li ha sopresi ed è stata aggredita perché stava dando l’allarme. Abbiamo trovato una cappella con la porta forzata e spalancata. Devono averla trascinata lì, tappato la bocca con un foulard della ragazza, che abbiamo trovato. L’hanno spaventata a morte e già che c’erano… Ma qualcuno deve aver udito il suo primo grido, allora se la sono svignata».
Il poliziotto era preoccupato per la doppia violenza: sia alla ragazza che alla memoria… Io gli dissi: «Sa brigadiere la ragazza nel suo delirio ce l’aveva detto chiaramente: “Sono tornati, i morti sono tornati, i violenti non muoiono mai..”»
«Qualcuno lo prenderemo…»
Per tornare a casa rifeci la stessa strada. Mentre guidavo pensai alla coincidenza. In quel periodo stavo giusto indagando sui nuovi gruppi eversivi di destra.
Passando davanti al cancello dell’ingresso da cui lei era fuggita, mi parve di vedere all’interno uno strano movimento di persone. Mi fermai per guardare meglio. Lungo il viale si muoveva come un’onda un grosso corteo di uomini e donne, silenziosi. Intravidi delle bandiere rosse e una con la stella di David. Marciavano verso il cancello, per uscire: l’avrebbero abbattuto e avanzavano. Feci un balzo indietro proteggendomi con un braccio per evitare l’impatto e chiusi gli occhi.
Quando li riaprii non c’era più nessuno.
La pioggia cadeva finissima e fastidiosa fin dal mattino, bagnava ma non lavava, infradiciava ogni cosa.
Guardai di nuovo il viale inesorabilmente deserto. Pensai: “Peccato…”