PECCATO O PER FORTUNA di Letizia Gariglio
L’importante è che non sia importante: in tv frivolezze, battibecchi dove l’inutile e apparente conflitto è dibattuto con falsa serietà o fra atteggiamenti, muscoli e abbigliamenti sexy; dibattiti che non dibattono proprio nulla, ma forniscono agli occhi e alle orecchie del pubblico solo piccole questioni, porzioni di interrogativi di scarsa importanza, perfetti per distogliere l’attenzione dai problemi veri. Di fronte alla scelta del canale tv tutti ci sentiamo liberi di credere, azionando il pollice, di esserlo anche nella vita, mentre siamo potentemente ipnotizzati dalle proposte che passivamente riceviamo: di stili di vita, di modelli di personaggi da imitare, di mode che poi pedissequamente seguiremo, allargando e accorciando qualche cucitura di gonne o pantaloni… piccole cose, certo, ma non mancheremo anche a quelle di adeguarci.
I valori sociali che ci vengono proposti saranno con buona probabilità di bassa qualità: predomineranno l’importanza del denaro, l’individualismo, il menefreghismo. Non saranno mai presentate teorie economiche in dissonanza con quelle utili ai grandi capitali né con le basi stesse del sistema economico in cui viviamo immersi: il neoliberismo che pervade tutto.
Anche le teorie scientifiche sono piegate al funzionamento del sistema, quando si affacciano sullo schermo, ma che importa…non appena al reality show seguirà il momento dell’informazione il brain-washing ci pulirà il cervello e riceveremo su ogni canale le stesse informazioni, le stesse opinioni, omologate, sebbene camuffate da qualche finta divergenza, cui seguiranno, ancora, spettacoli e show di pura superficialità.
La manipolazione è pienamente in atto, ma noi neanche ce ne accorgiamo: non vogliamo accorgerci. Del resto, l’informazione che ci forniscono è verosimile – non vera -, è costruita bene, con efficacia psicologica, è ripetuta in modo uguale seppure con piccole variazioni di forma, tanto per non rendere stucchevole e quindi palese l’ingannevolezza di una ripetitività insolente. Il dito schiaccia, lo sguardo gira tra un canale e l’altro. Le belle parole risuonano: democrazia, libertà, uguaglianza, legalità, progresso… noi le percepiamo e ce ne beiamo… e rinunciamo a pensare. Le belle parole usate semplificano, sistematizzano, generalizzano e mettono definitivamente in pensione la nostra capacità di ragionamento.
Ora, in campagna elettorale, si è aggiunta qualche parola in più: (in disordine) clima, transizione tecnologica, ambiente, salario minimo, sanità… a parte qualche bella parola gli argomenti scendono verso il basso, ignorando i veri problemi del nostro Paese. I vecchiumi dell’altro secolo resistono, come la polarizzazione fra fascismo e antifascismo, il massimo del dibattito riguarda Peppa Pigg con due mamme, il più elevato dei voli pindarici si eleva sul ponte di Messina. La situazione è kafkiana: sembra si parli di un altro mondo, dove aleggiano chimere in grado di tagliare tasse, dove la guerra per incanto non c’è più, le emergenze sono finite, l’inflazione è un brutto ricordo, e il reperimento di materie prime è a facile portata di mano.
Malgrado la presenza capillare di tutti i politici sui social, dove ciascuno di loro può esercitare la propria personale arte di comunicazione, tutta individuale e priva di contraddittorio, rimane la tv lo strumento fondamentale della propaganda politica, soprattutto per la fascia di pubblico più matura: la presenza dentro la casa della tv è ancora vincente, come la relativa condizione di passività con cui il pubblico gode dei servizi televisivi.
Esausto psicologicamente dopo il pagamento dell’ultima esorbitante bolletta, alle prese con la precarietà del lavoro e della vita, spaventato da mille paure, il pubblico non desidera altro che di essere convinto da qualcuno e qualcosa. Peccato che in questa campagna elettorale sia impossibile percepire l’ingrediente essenziale per rendere convincente una campagna elettorale: lo slancio riformatore, la progettualità fondata su idee vere, pensate e vissute con la partecipazione del sentimento.
Peccato o per fortuna?