HIC SUNT LEONES di Letizia Gariglio
L’uomo ha sempre tentato di immaginare il mondo, di disegnarlo e di riprodurlo su carta, o inciderlo su pergamena o pelle o legno. Le mappe antiche riportavano un disegno, frutto in parte di impegno immaginativo e in parte di conoscenza esperienziale. Dove mancava in ogni modo conoscenza diretta si interveniva colmando spazi sconosciuti con personaggi mitologici, elementi biblici e esotiche infarciture; là dove non si poteva proprio introdurre nulla proveniente da leggenda, fantasia e mito si risolveva con una scritta che avrebbe dovuto far tacere ogni ulteriore curiosità : «Hic sunt leones», o peggio: «Hic sunt dracones».
Quando noi osserviamo oggi le mappe storiche stentiamo a una semplice osservazione a capirci qualcosa. Le difficoltà sono oggettive. Prendiamo per esempio una delle prime mappe stilate nel cuore del Mediterraneo, a sua volta cuore del mondo. Siamo in Sicilia, a Palermo, dove alla corte normanna del regno di Ruggero II, che rappresentò un punto apicale di convivenza di genti, di culture e di fedi diverse, viveva e lavorava Al – Idrisi, che completò la sua mappa su lastra d’argento nel 1154. Certo, il centro del mondo rappresentato non poteva che essere il regno di Ruggero, ma…. la mappa è rispetto a quelle che oggi siamo abituati a guardare, rivoltata sottosopra. Il Sud è posizionato in alto, il Nord in basso.
Non è l’unica mappa conosciuta a essere orientata così, ma è sempre un piccolo shock osservarla.
A un certo punto della storia, almeno fino al Cinquecento, carte nautiche e mappe prendono strade che rispondono a necessità diverse, sebbene complementari: da una parte la mentalità concreta dei navigatori e dei mercanti che viaggiano per mare pretende carte nautiche precise e affidabili; dall’altra il mondo della cultura ha bisogno sia di immaginare sia di educare, soprattutto in senso religioso. I cartografi legati alla cultura clericale non possono fare a meno, nel disegnare le loro mappe, di riferirsi a concetti divini, a entità sovrannaturali; papi, re, signori non resistono alla tentazione della funzione pedagogica, così infarciscono le mappe di concetti astronomici e geografici, come le direzioni cardinali, o inerenti flora e fauna, con piante e animali; tutti si sentono autorizzati a inzuppare nelle citazioni , siano esse mitologiche, bibliche, o appartenenti alla cultura tradizionale. Spesso i mari e le terre sconosciute divengono proiezioni di sogni: sogni di ricchezza, di spezie e rarità, di erbe e animali fantastici. Questi tipi di mappa diventano preziosi documenti da conservare nei templi, nelle chiese, nei castelli, nei palazzi vescovili: sorta di enciclopedie ante litteram, in cui fantasia e realtà si mescolano, fuor di metafora, su un unico piano descrittivo. Erano, in buona sostanza, narrazioni.
Perfettamente inutili per chi viaggiava per mare, che cercava mappe affidabili al timone.
Con questo scopo nasce una delle mappe maggiormente conosciute, così ben ben conosciute che… sono quelle che usiamo ancora oggi. Relegate le cianfrusaglie nelle mappe custodite nei monasteri, in una sorta di parallelismo funzionale, altri cartografi lavoravano ai portolani. E al portolano spesso il marinaio affidava la vita: angoli di navigazione, rotte, porti, coste e punti di attracco, insidie dei fondali.
La mappa di Mercatore (pseudonimo del fiammingo Gerhard de Kremer) era stata tracciata con lo scopo principale di agevolare le rotte delle navi: infatti è un tracciato rispettoso degli angoli fra i segmenti che uniscono le linee orizzontali e quelle verticali, vale a dire paralleli e meridiani. Il marinaio che misuri sulla carta l’angolo della rotta e lo rispetti al timone è certo di arrivare alla propria meta. Malgrado il pregio marinaresco questo tipo di mappa ha tuttavia un difetto evidente di altro genere: distorce la proporzioni fra le superfici dei continenti e le terre geografiche.
Una sfera, si sa, non è srotolatile su un foglio bidimensionale, bisogna immaginare di impacchettare in un foglio la sfera e srotolarla su un cilindro. Poi ci sono altre esigenze: le distanze fra due luoghi in realtà e sulla carta dovrebbero essere corrispondenti; anche le superfici delle zone dovrebbero essere proporzionali alla realtà, inoltre le forme dovrebbero essere correttamente rappresentate: tutte necessità che non si possono soddisfare contemporaneamente e in egual misura.
Noi tutti usiamo comunemente, ancora oggi, la mappa di Mercatore: è ancora quella che vediamo nelle scuole e nelle biblioteche, che colora le pagine dei nostri atlanti e rotea sui mappamondi, che tanto ci facevano sognare da bambini.. Soddisfa l’isogonia ma distorce le grandezze e deforma le superfici a mano a mano che ci si avvicina ai Poli e ci si allontana dall’Equatore. A proposito dell’Equatore: da cinquecento anni circa si delibera la scelta di disegnarlo spostandolo più in basso: in conseguenza di ciò le aree dell’Emisfero Sud risultano rimpicciolite (si presentano in uno spazio più piccolo); quelle dell’Emisfero Nord viceversa sono ingrandite. Sud America, Africa, India appaiono più piccoli di quanto siano in realtà; Groenlandia, Cina, Stati Uniti, Russia ci appaiono giganti.
Così, nelle carte che noi abitualmente usiamo (e sono sempre mappe di Mercatore, con piccoli aggiustamenti), vediamo ad esempio la Groenlandia molto più grande dell’Africa, mentre quest’ultima è nella realtà quattordici volte più grande dell’altra. Inoltre la proiezione provoca un’immagine molto molto espansa in vicinanza dei Poli e un rimpicciolimento delle aree delle zone equatoriali. Al centro della mappa campeggia la vecchia Europa, politicamente dominante sul mondo al tempo della prima stesura della mappa (1569) e regina delle sue colonie.
Se noi pensiamo che i mappamondi o le carte geografiche che normalmente usiamo, e che abitualmente sono appese alle pareti delle nostre aule scolastiche, siano un rappresentazione oggettiva del mondo, ci sbagliamo. Non è semplicemente irrealistico mettere ancora oggi l’Occidente al centro del planisfero, o mostrare un piccolo sputacchio di Somalia al confronto dell’Italia ( 637.657 chilometri quadrati la prima, 302.073 chilometri quadrati la seconda): è un atto politico con cui ci piace consolidare l’idea di un mondo in cui l’Occidente si muove ancora, oggi più che mai, in modo imperialistico – almeno e non solo in senso culturale. Oggi conosciamo bene i difetti rappresentativi di quella mappa, e se ad essa sono seguiti nuovi e più corretti modi di rappresentare, tuttavia essi non sono stati universalmente adottati. Qualcuno certamente se ne stupirà e stenterà a crederlo. Immediatamente citerà ad esempio Google Maps e la visione dall’alto ottenuta con il satellite. Invito tuttavia queste persone a verificare: per sua stessa ammissione Google Maps usa i fondamenti della carta Mercatore.
Avete mai pensato che per esempio in passato l’atto di colonizzare una India sminuita nelle sue dimensioni territoriali possa essere sembrata moralmente meno deprecabile? Forse le dimensioni subalterne portano in qualche modo a giustificare la subalternità culturale e economica che i Paesi privilegiati intendono imporre a altri Paesi. Che i conquistatori si sentano meno colpevoli?
Certo, la permanente volontà di continuare a usare la carta Mercatore la dice lunga.
Perché non scegliere in alternativa la carta di Peters? Redatta da Arno Peters e pubblicata nel 1973 rappresenta il mondo nelle giuste proporzioni. Peters ha suddiviso il mondo in 100 parti orizzontali e 100 verticali; nella sua versione originaria 1 centimetro quadrato corrisponde a 63.550 chilometri quadrati. Peters aveva un obiettivo ideale: donare al mondo (forse sarebbe il caso di dire restituire al mondo) una mappa giusta, egualitaria, capace di restituire dignità a quei paesi che la perdevano nella rappresentazione di Mercatore e ai popoli che abitavano le terre penalizzate da un disegno concettualmente distorto e dunque sminuite nella considerazione dei lettori/ fruitori. Sostanzialmente la logica di Peters era anticoloniale.
Eppure a circa 40 anni di distanza la piccola ma importante rivoluzione di Peters è una rivoluzione fallita: la cartografia contemporanea rimane arroccata a una rappresentazione del mondo di più di quattrocento anni fa, ribadendo in questo modo una scelta ideologica. Se Europa e Stati Uniti continuano a campeggiare sui mappamondi e sulle carte geografiche appese sulle pareti delle nostre scuole, sugli atlanti e i mappamondi di casa, suggerendo inconsciamente, ma in modo stabile e duraturo, che possa essere legittimo imporsi ideologicamente (e non solo) al resto del mondo (quello che si vuole rendere più piccolo), propagandando in modo silente ma quanto mai efficace che alcuni popoli, in primo piano, siano spontaneamente portati ad assumere le redini e ad arrogarsi la propria supremazia, suggerisce che le mappe possono essere strumenti molto pericolosi. Il mondo così rappresentato è il reale mondo dei dragoni.
Forse faremmo meglio a usare la dicitura «Hic sunt leones»: sapremmo dove metterla.