A PROPOSITO DI THOMAS BERNHARD. VIAGGIO NEL LABIRINTO DELLA SCRITTURA
6. “La vita non è altro che l’esecuzione di una pena”
Nessuno sa descrivere l’inferno terreno come T.B., l’inferno del corpo e quello dell’anima, l’inferno esteriore e quello che ci divora dall’interno. In questo nuovo inferno chiamato sanatorio, in questo nuovo inferno terreno chiamato malattia, il giovane Thomas se ne sta nascosto in un angolo dal quale potevo osservare tutto con la massima chiarezza, e quelli che osserva sono esseri umani allo stremo, larve ormai prive di volontà, ombre che gli passano davanti agli occhi il cui unico gesto è quello di espettorare, ci sembra di sentire il rumore delle espettorazioni continue, ossessive, caparbie, con un’arte espettorativa sempre più raffinata, siamo immersi nelle espettorazioni dei degenti e in eguale misura nel sarcasmo corrosivo di T.B., lui osserva e descrive, osserva e scarnifica, ormai conosciamo bene la sua maestria nel descrivere l’orrore, è un vero maestro in questo campo, ci sembra di tenere in mano anche noi la sputacchiera di vetro marrone, ci sembra di percorrere anche noi con passo strascicato quel corridoio che porta alla veranda dove ci aspetta l’elioterapia , ma dobbiamo prima attraversare il corridoio e seguire le sputacchiere che ci sopravanzano, l’imperativo è: espettorare, niente altro conta, il laboratorio delle analisi attende il risultato delle nostre espettorazioni per analizzarlo, senza espettorazione niente analisi e niente terapia, aspettiamo anche noi con il fiato sospeso che finalmente si verifichi il miracolo che certificherà che siamo a tutti gli effetti affetti da tubercolosi, tirano tutti un sospiro di sollievo, finalmente i medici si trovano a proprio agio in compagnia di Thomas, potranno curarlo, potranno sperimentare su di lui le terapie adatte al suo grado di malattia. sembra anche a noi di vedere quell’ombra nei suoi polmoni, insieme all’ombra che la montagna sovrastante il sanatorio getta per parecchi chilometri sulla valle sottostante. Improvvisamente odiai tutto ciò che era sano, l’autoanalisi di Thomas è spietata, scandaglia ogni anfratto della psiche, perlustra, scava, analizza, sottopone a verifica, mette in discussione, accetta e respinge, accoglie e rifiuta, i moti della sua anima subiscono accelerazioni e rallentamenti, vuole essere in tutto e per tutto parte di quella comunità dell’orrore e subito dopola rifiuta, la espelle dalla mente, la avversa con uguale veemenza, la sua strategia di malato è quella di rifiutare, evitare, sventare, In breve tempo Thomas capisce di non dover dare nell’occhio, l’individualista viene stanato e ucciso. Se vuole salvarsi, il malato deve mimetizzarsi insieme agli altri, contare solo su se stesso, lui soltanto è il detentore del potere sulla propria malattia, se non si aspetterà niente da nessuno ma conterà solo sulle proprie forze allora ne verrà fuori. Il pensiero della morte va allontanato, escluso, rigettato in un angolo, nascosto alla vista, lo scetticismo che gli ha conculcato il nonno diventerà il suo abito mentale, la sua risorsa estrema, la sua arma sempre pronta alla difesa, ma l’inferno dentro cui sta vivendo il giovane Thomas non gli dà tregua, adesso le fiamme si sono estese alla sua famiglia, sua madre sta morendo per il cancro, l’inferno sembra non avere fine, la vita non è altro che l’esecuzione di una pena. Ma nessun inferno su questa terra dura per sempre. Il nostro viaggio infernale nel sanatorio in compagnia del giovane Thomas adesso sembra aprirsi a una luce, ci stiamo abituando alle regole e agli orari, incominciamo a fraternizzare con gli altri malati, adesso sentiamo le note inconfondibili di un harmonium, non sappiamo più da quanto tempo la musica ci ha lasciati, la musica che sempre abbiamo amato, che ci è stata compagna a lungo, si era dileguata non solo qui, ma già prima si era dileguata, all’ospedale e poi alla clinica-hotel, non avevamo più la musica come compagna, come conforto spirituale, ed ecco che adesso la musica sta ritornando sulle note di un harmonium, e quella musica reca con sé un’amicizia che durerà tutta la vita. Nessun inferno dura per sempre, il nuovo amico ci dà adesso lezioni di italiano, non abbiamo rinunciato all’idea di cantare arie d’opera, studiamo l’italiano proprio per padroneggiare un giorno il canto, è come un riaprirsi alla vita, all’idea di futuro che improvvisamente non sembra così avventata. Ma ecco che di nuovo T.B capovolge tutto, gli strappi emotivi non ci danno tregua, il pensiero del suicidio è sempre presente in Thomas perché il futuro appare fosco, segnato dalla malattia, Thomas oltre che uno scettico è un realista, non si fa illusioni, esamina i fatti, e i fatti gli dicono che non potrà mai cantare, non potrà mai lavorare come commerciante, la sua malattia è invalidante a vita, non ci sono vie d’uscita, ma nel contempo Thomas scarta risolutamente il pensiero del suicidio, per suicidarmi davvero ero troppo codardo e troppo curioso, migliaia di volte mi sarei suicidato se non fossi stato trattenuto sulla faccia della terra dalla mia spudorata curiosità. la stessa curiosità che spinge il giovane Thomas a indagare sulla propria origine, suo padre lo ha abbandonato prima ancora che nascesse, inutile era stato interrogare sua madre, i suoi nonni su questo padre fantasma, inutile cercare di diradare quella boscaglia entro la quale nascondevano le sue origini. Le nostre domande, le domande fondamentali per la nostra vita, per il nostro benessere psichico, le domande che ci toccano da vicino, non siamo mai in grado di porle, per paura rimandiamo sempre il momento di porre le nostre domande fondamentali fino a quando è troppo tardi, quando quelli che potrebbero rispondere sono morti e le nostre domande che non abbiamo mai posto rimarranno sempre senza risposta, teniamo in serbo le nostre domande perché noi stessi ne abbiamo paura. Le sequenze di questa visita al castello mentale di T.B ci portano spesso alla casta dei medici, ci indicano le storture di quella casta fatta per lo più di incapaci e di presuntuosi, i contatti con la casta dei medici avviene sempre in maniera traumatica, non ci sono vie di mezzo, il disprezzo nei confronti di quella casta raggiunge l’apice quando Thomas ne osserva il comportamento verso un degente suo vicino di letto, colpevole di essere comunista, un uomo mite la cui unica colpa era quella di aver abbracciato l’ideologia comunista, nei riguardi di una persona simile non veniva perseguito altro che l’annientamento. Thomas si convince che per sopravvivere, per uscire dall’incubo della malattia, deve seguire il consiglio dei medici fino a un certo punto, adesso gli sembra di avere raggiunto un cosiddetto punto di non ritorno, adesso occorre progettare in qualche modo il suo futuro, prendere la sua vita nelle mani, come usa dire. Per noi, al suo seguito fino a questo momento, è’ tempo di lasciare, insieme a Thomas, la malattia alle spalle per sempre.
Le sensazioni qui descritte sono nate dopo la lettura de “Il freddo”, pubblicato a Salisburgo nel 1981 e in Italia da Adelphi nel 1991, che costituisce l’ultimo volume dedicato da Thomas Bernhard alla propria autobiografia, nel quale ripercorre il periodo trascorso in sanatorio, dove lotta per sopravvivere a una grave malattia polmonare.
da “Il freddo”
Con quale diritto proprio io avrei dovuto cavarmela.
Esistevo soltanto quando scrivevo.
Scrive soltanto chi è spudorato.
In Austria vengono prodotti gli artisti più straordinari che poi vengono espulsi e disseminati nel mondo intero.
Rimangono quelli capaci di adattarsi, i mediocri.
La via dell’assurdo è la sola praticabile.
Il linguaggio permette a chi scrive soltanto l’approssimazione.