CRONACHE DI FANTA-DIVULGAZIONE SCIENTIFICA di P.P.Roe (Pietro Paolo Capriolo)
Con l’attuale pandemia, i bambini erano affidati a noi per tutto il giorno.
Mia moglie brontola facilmente, ma l’odierna lamentela per la scarsa manualità fine del nipote Alberto mi pare una volta tanto giustificata. Da ragazzo d’altri tempi e per di più chierichetto, a me non sarebbe certo successo d’incorrere nel suo errore: per accendere le altre candeline sulla torta di compleanno, egli ne accostò loro un’altra accesa tenendola rivolta all’ingiù, come fosse la bacchetta magica di Harry Potter. Al veder fondersi rapidamente la cera con l’effetto sgocciolante sulla panna montata, provò a rimediare mettendoci sotto la mano e lanciando un immediato strillo per l’intenso calore provato.
L’insolito contrattempo non turbò l’espressione felice di un desiderio; però, prima di degustare la sua fetta, la sorellina festeggiata dovette assistere alla preventiva asportazione chirurgica dei residui fusi della rosea candela.
La rivincita del ragazzino non tardò molto a venire, quando m’indicò la nonna intenta all’alfabetizzazione della bimba che il prossimo anno frequenterà la scuola.
Servendosi di una raccolta d’illustrazioni di animali, le andava dicendo: «A, di anatra! Sì lo so che è una papera, ma a noi interessa che sia un’anatra, perché comincia con la a. Ora diciamo i, di istrice, quello che assomiglia al riccio dell’altro giorno, però questo comincia con la i…».
Ci allontanammo con ghigno furtivo, io in particolare, immaginando quando sarebbe ricorsa all’upupa o all’urogallo per richiamare la vocale u!
Spesso e fortunatamente, i bimbi apprendono nonostante l’insegnamento loro impartito e molto probabilmente Luisella incontrerà una maestrina di accertata professionalità che, per fissare nella memoria le vocali, ricorrerà ad un alfabetiere figurato comprendente l’ape, l’indiano, l’uva…
Quando i genitori vennero a riprendersi la ben custodita prole, l’inconveniente didattico della mia consorte improvvisatasi insegnante mi richiamò alla mente un episodio della mia infanzia fra i banchi di scuola. Non saprei spiegare perché, forse si tratta di un connubio fra il poco maieutico momento didattico cui ho assistito e la mia professione.
Il direttore aveva acquistato (o vinto alla lotteria?) un microscopio con tre ottiche rotanti, di qualità paragonabile a quella di un giocattolo. Radunati gli scolaretti in corridoio, lo consegnò con fierezza ai due docenti di quinta elementare, esortandoli a farci vedere «l’invisibile ad occhio nudo». Senza malignità alcuna (perché allora non s’usava mica!) noi trovammo ridicola quella nudità dell’occhio se non altro perché, se fosse stato bendato, non ci avrebbe visto proprio nulla.
La signora Carla della 5a A, sezione femminile, si prefissò di far vedere alle sue allieve la flora batterica presente nello yogurt ed i globuli del sangue. L’amica Franca mi raccontò della delusione alla vista della lattea preparazione sul vetrino, nonché dello spavento e del disgusto quando, dalla tasca del nero grembiule della maestra, fu estratta una fiala contenente sangue. A nulla valse la precisazione che provenisse dal fegato di un vitello e che gliel’avesse consegnato il macellaio di fiducia: il sangue no, proprio non lo vollero osservare.
Il nostro maestro, avuto sentore dell’insuccesso della collega e contravvenendo la consegna del superiore circa l’invisibilità ad occhio nudo, alla sua 5a B, sezione maschile, propose bonariamente l’osservazione d’innocui granelli di zucchero e di sale e poi le zampette e le ali di una mosca rinvenuta morta sul davanzale. Ne fummo estasiati. Sale e zucchero apparvero come altrettanti diamanti luminosissimi ed i reperti organici dell’insetto erano veramente intriganti per la peluria, le articolazioni ed il disegno liberty delle ali. Ci guadagnammo anche nella comprensione dei rapporti di grandezza fra la realtà e le rappresentazioni iconografiche sui libri.
Questo fu il mio imprinting all’uso del microscopio e tuttora, dopo anni di ricerca accademica, in certe circostanze mi succede di meravigliarmi come allora. Una sera d’anni fa, testando un farmaco, ho addirittura immaginato di assistere a un singolare episodio di lutto fra creature microscopiche, ben sapendo come fosse la mia fantasia a dar voce, sentimento e perfino genere sessuato ai batteri.
Allontanatomi dall’oculare, mi sono preso un divertissement da scienziato che vuol conservare un po’ dell’animo scanzonato d’una volta e ne ho trascritto l’evento che ha tutti i crismi di… omelia funebre per una femminuccia di batterio. Riportandola qui, consiglio la preventiva immersione in atmosfera di circostanza e di leggere nel modo formale e solenne d’un pastore puritano che, oltre al trapasso, lamenti una profanazione d’infantile verginità. Per la terminologia scientifica, è sufficiente aver letto il “bugiardino” di un antibiotico.
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M A L’ANIMA N O N M U O R E
Fratelli, inesprimibile cordoglio ci unisce in questo triste evento.
Non si fa in tempo a prender gusto al fluire rapido dell’esistenza che, ineluttabile per i grandi della Storia così come per la più piccola delle creature, la fine si appressa furtiva e, d’un tratto, si appartiene al regno dei più. O cara, tenera e piccola Batty!
Tutti serbiamo ancor viva l’eco della tua allegra vivacità, autentico argento vivo guizzante per le vene. Più non sprizzerai fra noi che attoniti e impotenti abbiamo assistito all’ultimo tuo sussulto.
La mente non si accenderà più al frenetico ed intimo tuo dialogare con le cellule, né più il cuore palpiterà nelle sue riposte fibre, al tuo pervaderlo di sorpresa.
Aggredita così: in pieno centro, lungo l’arteria principale. Divenuta poi oggetto di macabra, morbosa e statistica documentazione. Infine, fagocitata…
T’avventuravi ancora inesperta delle disillusioni della vita, trepidante ed ignara dell’agguato che, travasato da vitrea ampolla in villosi glutei, lubrico e bruciante t’attendeva.
Ah, miserando destino! Eppur non ci si può rassegnare.
STREPTI e solidali impegniamo le nostre energie a vanificare quella fatale pulverulenza liquefatta che, come raccapricciante ombra, su di te si allungò perfida e tetra: TETRACICLINA!
Orsù fratelli GRAM–POSITIVI e GRAM–NEGATIVI dell’intero spettro, uniamoci nella lotta. Durasse cinquant’anni ed anche più!
Distilliamo sempre nuova la nostra tossina ed alfine, ad uscirne sconfitto, l’uomo ancora una volta sarà.
Amen.