A PROPOSITO DI THOMAS BERNHARD. VIAGGIO NEL LABIRINTO DELLA SCRITTURA. di Grazia Valente
Grazia Valente
A proposito di Thomas Bernhard
Viaggio nel labirinto della scrittura
“Presto saremo dimenticati e i nostri versi svaniranno come neve davanti alla casa”.
T. Bernhard
“Coloro che scrivono dovrebbero ormai riconoscere che a questo mondo non si capisce nulla”.
Anton Cechov
1. Nel castello – Prologo
“Di qualsiasi cosa io conversi con qualcuno, per il solo fatto che io converso con qualcuno sono spacciato”.
Scrivere di Thomas Bernhard è un’impresa che può apparire presuntuosa ma soprattutto folle , quasi come la sua scrittura. Hanno tutta la mia ammirazione i traduttori, alla fine devono aver avuto una specie di esaurimento mentale, un crollo psichico, una labirintite psicologica. L’uomo, nel senso di T.B., è un genio, visitare i suoi libri (sì, perché i suoi libri non ci si può limitare a leggerli, è assolutamente riduttivo, vanno esplorati, oserei dire posseduti) è come entrare di notte in un castello abitato soltanto da lui, che però non riusciamo a vedere perché se ne sta chiuso in chissà quale stanza o forse scantinato o forse soffitta inaccessibile e forse non è neppure solo, anche se fa di tutto perché noi lo crediamo. Ma noi siamo ostinati, decisi a incontrarlo, e così incominciamo a girare per le stanze, muniti soltanto – come nella migliore tradizione – di un candeliere. In ogni stanza sentiamo un leggero rumore, una porta che si chiude, lo scricchiolio di un armadio, un soffio d’aria sul collo. Ci illudiamo di una sua repentina presenza, in alcuni momenti potremmo giurare che lui si trovi proprio lì, a un passo da noi. Il candeliere che teniamo in mano a volte è pesante, dobbiamo cambiare braccio, o addirittura tenerlo con entrambe le mani. La sua luce è ondivaga, oscillante, ci fa strada soltanto a tratti, riusciamo a vedere qualcosa ma non sapremmo dire esattamente che cosa: il ritratto di qualche antenato? uno strumento musicale in un angolo? o addirittura altre presenze, oscure figure di cui sappiamo poco o nulla, ma che T.B.. ha incontrato, durante la sua vita? Lui ci parla di loro, a volte, ma a noi sembra che parli sempre di se stesso. Di qualsiasi cosa io conversi con qualcuno – sono parole sue, dette con la calma terrificante che usa sempre per questo tipo di discorsi – per il fatto stesso che io converso con qualcuno sono spacciato. Camminiamo e camminiamo, il castello è enorme, abbiamo a volte la strana sensazione di esserci già stati, ci sembra di cogliere un profumo familiare, o l’ombra di un nostro odiato parente dimenticato. T.B. è un genio astuto, oppure è un genio assolutamente ingenuo, convinto che noi, che siamo arrivati fino al suo castello e che, evidentemente, non abbiamo paura del buio, si sia disposti a passare un tempo lunghissimo della nostra vita a cercarlo, per un bisogno inspiegabile di porgli delle domande, domande assurde, domande che non possono ottenere risposta, dal momento che tutte le risposte sono già contenute nei suoi libri, basta saperle scoprire, con la pazienza di un archeologo, noi stessi ingenui o astutamente ingenui quasi quanto lui, dotati di un solo, grande impulso: il desiderio di comprenderlo e quindi di amarlo. Ma lui non desidera essere amato. Lui dice anche di non saper amare. Naturalmente, non lo dice lui in persona, lo fa dire a un suo personaggio. Dice anche che un essere umano può sentirsi unito a un altro che ama soltanto quando quest’altro è morto, e davvero è entrato a far parte di lui. La visita al castello non è finita, abbiamo attraversato solo alcune sale, ormai sta albeggiando. Fino a questo momento T.B. non si è mostrato, ma in lontananza sentiamo il suono di un pianoforte. Sembra un’aria triste, ma bisognerebbe conoscere l’intera partitura, prima di dare un giudizio. Ci riserviamo di proseguire la visita in un altro giorno. Siamo certi che alla fine questo incontro ci sarà.
Le sensazioni qui descritte sono nate dopo la lettura di “Perturbamento” , secondo romanzo dello scrittore austriaco Thomas Bernhard (1931-1989) pubblicato in Germania nel 1967, in Italia da Adelphi nel 1981, considerato forse, come dice il risvolto di copertina, “il punto di massima intensità nell’opera ormai foltissima di questo ”recensore del caos” (così definito da Claudio Magris)”. Un libro difficile, complesso che – ne siamo certi – non abbiamo penetrato fino in fondo e che andrebbe perciò letto più di una volta per i suoi risvolti psicologici e filosofici. Uno di quei libri che andrebbero letti dopo esserci dotati di taccuino e matita. Il perturbamento sembrerebbe essere, a nostro giudizio, quello che deriva dalla incomunicabilità tra esseri umani, particolarmente in ambito familiare.
da “Perturbamento”
Bisogna saper aspettare finché il nemico perde la testa.
Ogni tanto gli capitava di vedere qualcuno di quelli che nel frattempo erano saliti molto in alto nella gerarchia della volgarità e della sessualità.
Quell’ironia che attenua un poco l’intollerabilità dell’esistenza … una sosta ai margini delle distonie nervose.
Discussioni masochistiche che egli faceva da solo con se stesso nella sua camera chiusa col catenaccio.
Mentre la sua famiglia, questa incessante e infame amputazione dello spirito…
Quello che c’è di essenziale in una persona viene alla luce soltanto quando dobbiamo considerarla perduta per noi.
Ma si fanno talmente tante cose senza sapere il perché.