TRA VIRUS E CONIGLIETTI di Letizia Gariglio
Mi si stringe il cuore nel rileggere il racconto Il coniglio velenoso di Calvino, nel Marcovaldo, il cui involontario protagonista , un povero coniglietto, apparentemente inoffensivo, è in realtà malatissimo, perché vittima di spericolate sperimentazioni di laboratorio, tanto da essere divenuto velenoso. Coniglio in gabbia, destinato a morte certa : «era un coniglio bianco di pelo lungo e piumoso con un triangolino rosa di naso, gli occhi sbigottiti, le orecchie quai implumi sulla schiena», estraneo al mondo della natura quasi quanto il protagonista umano, quel Marcovaldo antieroico e fallimentare che conosce solo – anche lui – una gabbia, quella della città. Con quel coniglio ossuto sotto l’apparenza del manto peloso Marcovaldo si identifica e offre un pezzo di carota avanzata a questa creatura così stordita che quando gli viene aperta la gabbia se ne sta ferma, lasciandosi poi infilare, senza reazione, all’interno del giubbotto. Nell’uomo si sommano sentimenti contrastanti: desiderio di carne arrostita e tenerezza per l’animale. Chissà quale prevarrà.
L’infelice destino del piccolo mammifero non termina qui e si snoda sui tetti, fra gli abbaini degli abitanti più poveri della città (siamo nel dopoguerra), perché la bestiola, pur essendo nata prigioniera e quindi non possedendo grandi aneliti di libertà, non ha però alcuna intenzione, una volta liberata, di farsi riacchiappare per rientrare in una casa in fricassea. Malgrado abbia conosciuto fino ad allora solo la prigionia e il dolore, questo coniglio ha una storia, un insieme di tratti di carattere che ne fanno un personaggio, una personalità che nel racconto lascia un’impronta, un segno, un ricordo; malgrado sia stato sottoposto a continue sevizie da parte degli umani in un laboratorio non ha perduto la sua essenza: potremmo trasformarlo in un personaggio sulla scena, potremmo disegnarlo, siamo in grado di immaginarlo.
Quanta differenza con altri elementi (forse) provenuti di recente da altri laboratori scientifici: submicroscopici parassiti obbligati delle cellule, prodotti di degradazione costretti alla nemesi di agenti patogeni. Eppure, anche qui, non abbiamo rinunciato a immaginare e a raffigurare: una bella sfera apparentemente armoniosa, con protuberanze dall’aspetto spinoso. È così che si è presentato il virus sull’uscio delle nostre case, senza chiedere il permesso di entrare.
La letteratura si è provata molte volte a immaginarlo, inserendolo dentro le proprie storie. Qualche volta gli ha dato nome suggestivi, che oggi suscitano la nostra particolare preoccupazione, per l’associazione immediata che sollevano in noi, grazie ai dati della cronaca.
Wuhan 400 si chiamava il virus mortale in un romanzo di Dean Koontz, definito cross gender dal suo stesso autore, pubblicato nell’insospettabile 1981 con il titolo The eyes of darkness, (il libro è edito in italiano da Fanucci editore con il titolo Abisso). È la storia del rapimento di un bambino, unico sopravvissuto a un’epidemia mortale, e della strenua ricerca della madre che non crede alla sua morte. L’aspetto che oggi lo rende interessante è il riferimento a un virus in grado di uccidere, creato in laboratorio per divenire una potente arma biologica. È curioso, quasi premonitore, si potrebbe dire, che il virus nel romanzo porti il nome di Wuhan 400, sia stato elaborato in Cina, da dove oggi (2020), nella realtà, il virus Covid 19 si è diffuso in tutto il mondo, proprio da Wuhan, città nella quale esiste un laboratorio di sperimentazione chimica. Il romanzo adombra pericolose manipolazioni che passano fra Cina e Stati Uniti. Nella realtà odierna molti media hanno sollevato dubbi sull’eventuale volontarietà di creazione e diffusione del virus: dubbi a cui nessuno può dare risposte, né conferme né sicure esclusioni. Scriveva nel romanzo l’autore: «Uno scienziato cinese, Li Chen, è passato dalla parte degli Stati Uniti, portando con sé un dischetto delle più importanti e pericolose nuovi armi biologiche sviluppate dalla Cina negli ultimi dieci anni. Chiamano il materiale Wuhan 400 perché è stato sviluppato nei loro laboratori RDNA al di fuori della città di Wuhan, ed è stato il quattrocentesimo ceppo virale di microrganismi artificiali creato in quel centro di ricerca».
Che Abisso sia da annoverare fra i romanzi visionari capaci di virtù premonitrici e profetiche? Certamente la letteratura non è nuova in quest’arte.
In ogni caso, io continuo a preferire il coniglietto di Calvino, per cui nutro molti sentimenti di pietà e compassione, che nessun virus riesce in me a suscitare. Da che cosa dipende questa disparità di sentimenti? mi chiedo. Certamente dall’idea che il coniglio possa pensare, comunicare e… soffrire. Al contrario, la viva avversione per il virus è legata all’idea che non so attribuirgli una personalità, né sentimenti, né emozioni. Eppure quale trattamento gli uomini hanno attribuito a quel coniglietto e a un numero imprecisato di animali sottoposti a sperimentazione scientifica? Fino a che punto è arrivato il nostro imbarbarimento? Certo, il disequilibrato rapporto fra umani e non umani e la nostra discriminazione nei loro confronti si basa sulla disparità di forze fra uomini e animali.
Voglio essere sincera. Ammetto che non mi dispiacerebbe un dispiegamento di forze contro certi virus.
(giugno 2020)