«PRONTO? VOGLIO PARLARTI DEL TELEFONINO…» di Letizia Gariglio
«Pronto? Voglio parlarti del telefonino…» di Letizia Gariglio
A Ivrea nel 2017 (sentenza del 30 marzo del Tribunale di Ivrea) è stata riconosciuta una relazione fra l’uso del cellulare e l’insorgenza di un tumore. Un uomo, afflitto da tumore, si era rivolto al Tribunale perché sentenziasse sul neurinoma, tumore che gli aveva tolto l’udito, dopo aver lavorato con il cellulare per tre ore al giorno nel corso di quindici anni: gli è stata riconosciuta la malattia professionale e l’Inail insieme alla Telecom sono stati condannati ad un risarcimento tramite vitalizio.
La sentenza è degna della nostra attenzione perché spesso ancora oggi la comunità scientifica stenta a riconoscere la connessione fra tumore e uso del cellulare, e si nota una diffusa volontà di classificare la dannosità delle radiazioni emesse da cellulare al pari della dannosità, in termini di cancerogenità, di quelle di una tazzina di caffè o di una sigaretta.
Tuttavia l’Ordine Mondiale della Sanità ha incluso l’inquinamento elettromagnetico fra le quattro emergenze più importanti del pianeta: ciò significa che la preoccupazione per l’insorgenza di malattie degenerative, come i tumori, dovuti anche ad esposizione a campi elettromagnetici, è ben accesa. Negli ultimi anni l’incremento di impianti, antenne, WiFi, in abitazioni e uffici, grazie ad un esponenziale avanzamento di tecnologie sempre più potenti e sofisticate, ha alzato, con l’aumento dell’esposizione ai campi elettromagnetici, anche il livello di preoccupazione delle persone e degli enti sensibili al problema.
Finché l’attenzione delle singole persone è esercitabile (verso l’utilizzo appropriato di un forno a microonde, per esempio), va tutto bene, ma quando l’utilizzo e la presenza stessa di impianti non è dipendente da scelte individuali, ma coinvolge gruppi e realtà collettive, tutto si complica. Spesso, infatti, non è competenza di singoli cittadini decidere la collocazione su un territorio di antenne, la disposizione di cavi, la scelta del tipo di alimentazione, nemmeno la presenza eventuale di stazioni radio.
A tal proposito sono stati condotti studi fra l’esposizione residenziale e le radiofrequenze (American Journal of Epidiemology) che hanno dimostrato rischio di leucemia, cancro del cervello e cancro infantile, dimostrando che vi è un’associazione importante fra esposizione residenziale all’emittenza e aumento dei casi di leucemia.
Siamo in grado di scegliere se tenere la radiosveglia sul comodino, il cellulare sotto il cuscino, se lasciare le nostre apparecchiature elettriche in standby, dare in mano ai nostri figli piccoli il cellulare o il tablet per tenerli buoni in modo efficace, intrattenendoli facilmente. Possiamo decidere se vogliamo usare il cellulare con le cuffiette oppure no, e anche se ci piace usare il WiFi sulla nostra auto in corsa. Ma la situazione è ben più complessa.
Anche l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, in una propria Risoluzione, è intervenuta nel prendere in esame gli effetti sulla salute delle campi elettromagnetici emessi dagli apparati di telefonia mobile e di altri sistemi WiFi a banda larga. Nella stessa Risoluzione si sollecitano gli stati membri ad un maggiore impegno per una regolamentazione attenta sull’uso degli apparecchi che emettono tali onde; nel documento si dice: «…la certezza scientifica sugli effetti dei campi elettromagnetici sulla salute delle persone non si potrà avere che fra diversi anni…». Anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha evidenziato la necessità di fare prevenzione, limitando l’influenza negativa sulla salute.
In Italia urgerebbe qualche riflessione in più, se consideriamo che, dopo Usa e Giappone, siamo il Paese con maggiore diffusione di telefonini e l’utenza di telefonia mobile per abitante è pari al 160%.
Nel mondo degli educatori l’incompletezza di prove scientifiche non basta a calmare le preoccupazioni, né a sollevare gli addetti ai lavori dalla intima convinzione che vi sia una relazione stretta fra atteggiamenti comportamentali, difficoltà generazionali nella presenza di disturbi specifici di apprendimento, diffusione di autismo e onde elettromagnetiche.
Del resto esistono studi analitici sulla cognitività che analizzano i nessi fra onde elettromagnetiche, personalità e comportamento; gli educatori spesso osservano condizioni fisiche nei bambini e negli adolescenti, come cefalea, irritabilità, stato di eccitabilità; si conoscono interferenza ammesse dalle ricerche scientifiche con la frequenza cardiaca, con il riposo notturno, l’alterazione della quantità e qualità del sonno, mancanza di attenzione nelle attività di apprendimento.
È plausibile che fra bambini e ragazzi, come fra gli adulti, vi sia una diversità nella tolleranza all’esposizione ai campi magnetici. Però sempre più frequentemente i bambini e i ragazzi sono in grado di manifestare a parole il proprio disagio, accompagnato qualche volta da un lieve senso di nausea, che loro provano a contatto prolungato di tablet e telefonini. Si tratta della percezione di sensazioni, che l’individuo stesso sente di provare: non sanno bene definire che cosa provano, ma sono in grado di manifestare la sensazione.
Anche la sensibilizzazione degli adulti si fa più acuta nei confronti dei minori. Se in passato qualche errore è stato commesso con leggerezza (pensiamo, per esempio, all’accudimento a distanza con interfoni (i baby-phone) i genitori oggi sono diventati più accorti. O almeno, lo speriamo. Lo vogliamo sperare.
Studi su effetti epigenetici hanno dimostrato che le radiazioni veicolate da telefonini cellulari conducono a comportamenti e ad alterazioni neurofisiologiche persistenti. Alcuni studi condotti intra utero hanno dimostrato nel feto iperattività, ansietà crescente e si è arrivati finalmente a comprendere che l’esposizione a radiofrequenze in utero è potenziale causa di disordini comportamentali nel nascituro; non solo, si è compreso che le alterazioni neurofisiologiche persistono dalla fase neonatale all’età adulta.