FORSE di Wanda Scuderi
FORSE…
Racconto di fantaecologia di Wanda Scuderi
Silva era un testimone.
Quel giorno, apparentemente uguale a tanti altri, era appena tornata a casa dalla fabbrica di Fibralitpack e si era messa subito a sfaccendare.
Apriva e chiudeva i pensili della cucina dove piatti e bicchieri erano disposti ordinatamente, velati da uno strato di polvere.
Li puliva uno alla volta con un getto di microbolle d’aria e li rimetteva a posto.
Gesti inutili, lo sapeva bene. Ormai quegli oggetti non servivano più, ma pulirli anche cento volte al giorno la teneva ancorata ad un passato che non voleva cancellare.
Ma a cosa servono i ricordi?, si chiese per l’ennesima volta. Irrefrenabili scaturirono nella sua mente le emozioni di un lontano vissuto: picnic su prati verdissimi, lei distesa sulle erbe all’ombra di un albero dalla larga e bassa chioma, sulla mano il solletico di una formica che tentava di arrampicarsi… Scosse il braccio istintivamente, mentre, come spesso accadeva, immagini, suoni e profumi continuavano ad irrompere prepotentemente nella sua mente: i colori del tramonto, il cinguettio degli uccelli, la fragranza delle rose. Basta! Si scosse, e aggrappandosi pesantemente al lavandino, poggiò la fronte sul pensile. Non doveva più pensare a quelle cose. Un dolore lancinante e una morsa allo stomaco le portò alla bocca un urlo di dolore, che però subito represse, stringendo le labbra con forza. La sua piccola avrebbe potuto captare qualcosa ed era meglio che non sapesse, che non conoscesse. Tanto non c’era più niente da fare.
Sentì la sua presenza.
Si volse: Velja era lì, ferma sullo stipite della porta. Il suo faccino tondo e i grandi occhi dorati esprimevano un misto di serietà e infinita dolcezza. La sua presenza a volte le trasmetteva un certo disagio. Perché mai?, si chiedeva spesso con stupore. Forse era per il contrasto tra le fattezze infantili e la consapevolezza del suo sguardo: uno sguardo così intenso e profondo che sembrava andare oltre ciò che era visibile, che sembrava pescare in un tempo lontano o futuro. Ma a cosa poteva pensare quella piccola donna? Sono tutte fantasie, pensò Silva. Era solo un cucciolo, la sua bambina, la sua unica bambina: tenera, mai capricciosa, docile e dolcissima. Soltanto che a volte, a volte aveva dei comportamenti strani, incomprensibili, che creavano tanti punti interrogativi nella sua mente, che lasciavano ombre e insoluti angoscianti. Anche altre mamme con cui si era confrontata in fabbrica, sebbene con un certo imbarazzo, avevano detto di provare la stessa sensazione con i loro piccoli. Sembrava che quei bambini, quegli strani bambini nati dopo l’ennesima catastrofe ecologica, cercassero delle spiegazioni, o elaborassero dei pensieri critici sulle azioni passate e presenti degli adulti. Forse li ritenevano responsabili di quello sfacelo. Forse….
No, ma come poteva pensarlo? Era impossibile! Come potevano sapere quelle nuove creature cos’era accaduto negli anni precedenti alla loro nascita?
Tutte le precauzioni erano state prese. Proprio tutte. I gerarchi di ogni nazione, già da parecchi anni e sin dall’inizio della catastrofe climatica, avevano sequestrato libri, quaderni, documenti, video, films, e persino quadri e fotografie personali, tutto ciò che potesse documentare il passato: come si viveva prima del Klime-out, com’era il pianeta, i suoi cicli stagionali, i paesaggi, la flora e la fauna che c’era. Il Passato. Avevano vietato pure di parlarne, di rimembrarlo e perfino di pensarlo. Leggi speciali, sanzioni e pene durissime erano state create appositamente per cancellare Ciòcheerastato e chi denunciava le trasgressioni veniva addirittura gratificato con razioni di fibralit gratuite.
Però…Però, pensava Silva, non potevano sondare nella mente della gente. Per fortuna non ne avevano ancora i mezzi! E quindi la mente di ognuno era un prezioso archivio. L’ultimo rimasto. Finché sopravvivevano i testimoni. I testimoni come lei, gli ultimi di una generazione di mezzo.
- Mamma, quell’erba è cattiva, mi ha punto! Bruciaaa!- disse la bambina piangendo e premendosi una mano.
- Hai solo toccato un’ortica! Non è grave! E poi quell’erba, non voleva farti del male, ma è nella sua natura avere dei peli urticanti! Se impari a riconoscerla le puoi stare lontana!-
- Ma è cattiva lo stesso e poi a che serve?-
- E’ ottima da mangiare, ha tante proprietà curative, aiuta le persone che vogliono depurarsi e che hanno delle carenze nel sangue!- le disse sua madre abbracciandola e baciandole la manina arrossata.
Silva ricordava ancora il sapore del risotto all’ortica che il giorno dopo sua madre le aveva cucinato…
Velja aveva fame. Il messaggio telepatico arrivò chiaro. Di solito la piccola preferiva esprimersi così. Ma aveva anche una vocina melodiosa con cui, alle volte, intonava strane canzoncine gorgheggianti, di sua invenzione. Chissà come e dove le aveva apprese!Non le risultava che i nuovi programmi Telescuola avessero delle sessioni musicali.
Silva estrasse da un armadietto una vaschetta colorata. Era Carotalit, il cibo preferito di Velja. “Di purissimo fibralit”, si leggeva sulla confezione.
Le carote, quelle vere, non esistevano più da tempo, ma il fibralit aveva sostituito, in brevissimo tempo, tutte le materie prime, invadendo e monopolizzando ogni settore produttivo, compreso quello alimentare. E comunque era stato pensato e progettato tutto molto bene: le vaschette erano di forma varia, sempre con gli spigoli arrotondati, colorate variamente, facili da utilizzare, e il contenuto aromatizzato chimicamente, conteneva, aminoacidi, vitamine e sali minerali, nella giusta proporzione per un mantenimento sano e biologico del corpo. Sano forse, ma biologico perché? Pensò Silva. Ah, sì, perché per la sua produzione, così come per tutto quanto il fibralit, veniva utilizzata la polvere naturale che ormai si trovava ovunque nell’ambiente e che insieme al vento continuo erano gli unici elementi caratteristici che si potevano riferire alla natura. D’altronde lei doveva saperlo bene di che cosa erano fatte tutte le cose, dato che da anni lavorava in una delle numerose fabbriche di Fibralit della Regione.
Velja si sedette composta e scosse i riccioli ramati. Tolse i filtri dalle piccole narici e li conservò con cura nella loro custodia. Era vietato respirare senza filtri, soltanto durante i pasti era concesso e per pochi minuti, per permettere di percepire meglio il gusto (se così si poteva dire) del nuovo cibo. Poi prese la vaschetta e accostò alle labbra la cannuccia che vi si trovava già inserita. La madre la guardava con ammirazione. Era sempre così aggraziata ed attenta nei movimenti! Peccato che stesse già perdendo i dentini! Tre finestre scure si aprivano nella sua rosea boccuccia dandole un tocco di imperfezione. Chissà se le sarebbero ricresciuti come era successo per millenni a tutti gli uomini. I mass-medici avevano ipotizzato che forse l’alimentazione comune, a base di gelatine e creme, aveva prodotto un ritardo o forse una recessione nella crescita dei nuovi denti. Molti bambini aspettavano da anni quest’evento e, poiché era triste vederli sdentati, si stavano approntando per loro delle protesi particolari. Era rassicurante sapere che la situazione era sotto controllo e che i medici di stato provvedevano tempestivamente a tutti i bisogni della popolazione…
Gero lanciò un gridolino che la distolse dal filo dei suoi pensieri. Spesso Silva dimenticava la sua presenza. Stava sempre lì, col casco che gli copriva la testa, perduto nelle sue realtà virtuali tra configurazioni geometriche ed improbabili avventure: squallide alternative ad altrettanto squallida realtà. Proprio come gli struzzi, pensò aggrottando le sopracciglia. Non sapeva se averne compassione o invidiarlo. Certamente gli voleva ancora bene, anche se da molti anni era affetto da schizofrenia virtuale, ovvero perdita del contatto con la realtà, come avevano diagnosticato i mass-medici, e quindi non c’era più alcun tipo di relazione tra loro.
Il governo gli aveva anche concesso un sussidio per la sopravvivenza riconoscendo la gravità di questa malattia che, in breve tempo, poi si era trasformata in epidemia. Anche computer, programmi, guanti e casco erano forniti gratuitamente. Il Sistema, pensava e provvedeva a tutto.
Silva a volte stentava a ricordare il suo volto. Forse sotto quel casco stava anche invecchiando, forse gli anni avevano trasformato il suo viso, forse rideva o piangeva. Forse…
Anche lei, per tanto tempo aveva fatto parte del popolo degli struzzi. Era riuscita ad uscirne, appena in tempo, prima di assuefarsi, perché aveva cominciato ad avvertire un cambiamento delicato e profondo che stava trasformando il suo modo di pensare. Doveva essere stata la maternità a muovere delle cose dentro di sé. Di certo, mentre il suo pancione cresceva, sentiva qualcosa proromperle dentro, frugando l’apatia che aveva contraddistinto le sue giornate sin dai primi anni dopo il Klima-out. Una sensazione strana, un languore che forse si poteva chiamare speranza o forse amore, ma che come risvolto negativo presentava una forte nostalgia verso ciò che era stato nella sua vita, nel vietatissimo Passato. Non conosceva l’origine né le causa di quell’emozione, anche se a volte pensava che potesse essere collegato alla presenza di Velja dentro di sé. Ovviamente la bambina non era stata concepita per via naturale. Il Governo pensava proprio a tutto. La sopravvivenza della specie, così era definito il programma istituzionale, in base al quale le donne ancora fertili dovevano concepire almeno un figlio durante la loro vita, altrimenti… altrimenti sarebbe stato loro negato il posto di lavoro. Purtroppo gran parte degli uomini avevano perso la loro fertilità e qualche dissidente aveva osato affermare che ciò era dovuto all’uso continuo della realtà virtuale. E quindi erano stati allestiti programmi di inseminazione artificiale, creati appositamente per sopperire a quell’inconveniente. Il governo era veramente efficiente…
Era ancora una ragazzina quando era accaduto.
Non trovo il mio ombrellino rosa!, aveva detto un giorno rovistando nell’armadio.
A cosa ti serve? Non piove da tre anni., aveva chiesto il padre abbassando il giornale dispiegato e scambiando uno sguardo crucciato con la moglie.
Volevo fare una capanna, rispose Silva a bassa voce. Aveva percepito qualcosa di strano nell’atmosfera di famiglia, qualcosa di inquietante. In quei giorni c’era stato un gran movimento in casa, un incrociarsi di discorsi concitati anche con amici e vicini di casa, sia di presenza che per telefono. Dalla finestra vedeva assembramenti di persone che stazionavano nelle strade urlando e gesticolando e qualche corteo che sfilava per le strade lanciando pietre verso i muri e davanti a sé. Non capiva cosa stesse accadendo e i suoi genitori eludevano le sue domande. Era molto strano. Aveva acuito la sua attenzione cercando elementi per comprendere. I notiziari, che non solitamente non seguiva perché erano noiosi, adesso avevano attratto la sua attenzione: riportavano diverse cose poco comprensibili per lei ancora ragazzina, ma poi più grande quelle notizie sarebbero state la motivazione della sua vita quotidiana:
«…increscioso Klime-out… fughe di materiale chimico preparato per controllare il clima… disastro di proporzioni planetarie…il deserto avanza inesorabile… errore umano o guerra subdola di superpotenze?… laboratori chimici stanno ricercando … arginare il problema… la vegetazione?… gli animali?… gli insetti?… l’uomo?…»
Quel giorno, quel giorno che la radio e la tv in contemporanea annunciarono che d’ora in poi bisognava stare in casa il più possibile, che l’ultimo vegetale su cui si riponevano le speranze di ricostruire la natura del pianeta, l’ultimo filo d’erba era morto, miseramente così, tra i tecnici costernati di un laboratorio del Massachusset…quel giorno Silva vide i suoi amati genitori piangere disperatamente abbracciati l’uno all’altra.
Poi, fu un’altra vita, se così si sarebbe potuta ancora chiamare.
Velja aveva terminato il suo pasto e stava conservando il contenitore ripulito in un armadio, insieme ad altri simili. Chissà perché non lo degradava nel frantumac, come da prassi! Perché lo conservava? Silva aveva notato che ultimamente la piccola compiva strane manovre.
Spesso l’aveva vista armeggiare con quelle vaschette riempite di misteriosi intrugli, a volte faceva dei gesti e dei movimenti con il corpo come se danzasse, o emetteva dei suoni strani con la voce. Poteva essere a causa dei dentini mancanti?
Chissà che gioco aveva inventato. Ma sì, Velja era proprio una brava bambina, poteva lasciarla fare.
Ancora quel mal di testa opprimente e costante! Spesso Silva ne era colpita ultimamente. Si abbandonò sulla poltrona sospirando.
Velja le si avvicinò e, sorridendo, le mise le manine sulle tempie, delicatamente.
«Ora starai bene, mami, vedrai!» –
Quel sorriso… Silva chiuse gli occhi e scivolò in un sonno profondo e ristoratore.
Sognò.
Si trovava in una spiaggia dorata, le onde spumose del mare lambivano i suoi piedi e un pesciolino argentato le pizzicava le caviglie. Poi la scena cambiava e si vedeva sospesa su un bosco di castagni e querce variegato dai colori dell’autunno: giallo, arancio, rosso, bruno, verde-giallo… Il profumo di muschio arrivò forte alle sue narici…
Quando si risvegliò non era passato tanto tempo, ma si sentiva rinvigorita. Con un gesto della mano cancellò le ultime immagini del sogno, ma l’odore del muschio rimase attaccato al suo olfatto. Si tolse i filtri dalle narici? Che avevano quei filtri? Erano difettosi? Li buttò e li sostituì con un paio nuovi. Ma dov’era Velja?
La bambina era davanti alla finestra. Fuori il paesaggio era monotono. Nuvoloni di polvere si alzavano turbinando. Polvere, polvere e solo polvere. E case. Non c’era altro più. Gli edifici erano tutti uguali o pressappoco: casermoni grigi bucati dal nero delle finestre, piccole come feritoie. Per non fare entrare la polvere, dicevano. E per non far deprimere di più, pensava Silva. Possibile che la mancanza della natura varia, colorata, sfaccettata di mille connessioni e forme, avesse fatto inaridire anche la fantasia degli architetti?
L’urlo del vento, che con le sue raffiche rabbiose frustava la terra, sapeva di monito.
L’attenzione di Silva andò a quello che la bambina stava facendo. Qualcosa di strano.
Sul davanzale interno erano allineate otto vaschette piene di qualcosa di indecifrabile e Velja era intenta a praticare delle piccole incisioni sul vetro della finestra con un piccolo coltello-laser. Ma dove aveva trovato quello strumento pericoloso?
Silva, ora preoccupatissima, voleva lanciarsi per togliere dalle mani della bambina quell’arnese, ma si sentiva come paralizzata dalla curiosità e dallo stupore.
Guardò i segni sul vetro: erano molto sinuosi e particolarmente armonici. Un ricamo che sembrava seguire un codice arcano. Silva scoprì i segni stranamente noti a qualche parte di sé. Ma non ricordava di aver mai visto quel misterioso alfabeto…
Adesso il vento, penetrando nell’intarsio, modulava suoni armonici. uuh; Uuueaaaa! Sibilava il vento. Sembra la musica prodotta da uno strumento, pensò Silva, cercando nel suo archivio di ricordi una traccia per decifrare la melodia. Il flauto di Pan, trovò soddisfatta. Ma non ricordava neppure dove avesse appreso questa informazione.
Velja intanto era estremamente concentrata e con gli occhi chiusi e il visino sollevato, cantilenava qualcosa, accompagnandosi con i morbidi gesti danzati che già la madre le aveva visto fare qualche volta.
Tutta la scena era così incantevole che Silva fu sommersa da un’onda di commozione. Con la coda dell’occhio vide Gero che, chissà come, si era tolto il casco, e con i capelli arruffati e brizzolati, gli occhi stralunati, era anche lui proteso a seguire l’evento. Gero? Come mai? Che stava succedendo? La scena stava acquisendo qualcosa di surreale, si sentiva che stava accadendo qualcosa di molto importante. C’era una grande tensione nell’aria, un senso di attesa. Forse…
Ma cos’era?
Cos’era quella cosa?
Adesso Velja aveva preso con le sue manine cicciotte una vaschetta e, come un paggio che offre al suo re la corona tempestata di rubini posta sul cuscino di velluto, stava tendendo a sua madre il suo gioco.«Abbine cura!», le sussurrò.
Nella vaschetta in fibralit, ripiena di nonsisacché, spuntava verdissimo un prezioso, tenero, verdissimo, unico filo d’erba.
Silva, dopo tanti anni, finalmente pianse, inondando di lacrime di speranza il verdissimo figlio del Mondo.
(marzo 2019)