UNA MONETA TRASFORMERÀ IL RANOCCHIO IN PRINCIPE? di Letizia Gariglio
Una moneta trasformerà il ranocchio in principe? di Letizia Gariglio
Difficilmente sopporto l’aggressività dei dibattiti televisivi, dove l’umanità esprime al meglio pretese di prevaricazione, con annientamenti laser-oculari, ferite squarciate da parole laceranti, sprizzi di odio sudato sotto i riflettori; mal sopporto anche il ricercato quanto finto aplomb anglosassone degli uomini della finanza e dei teorici dell’economia, la cui principale preoccupazione è nascondere sotto parole di falsa oggettività e patina di scientificità il sottile piacere di rovinare la gente, sommersa di difficoltà nello sbarcare il lunario e nel destreggiarsi fra i debiti. Però il convegno dal titolo «Società, economia e moneta positiva» che si è tenuto a Roma nell’Aula dei Deputati venerdì 23 novembre, e trasmesso poi in Internet da Byoblu, l’ho seguito volentieri, quasi senza accorgermi di proseguire nell’ascolto. Che cosa di di diverso lo informava?
Forse l’atteggiamento positivo dei relatori, tanto sincero da rendere gli interventi gradevoli e comprensibili. Possibile che si parlasse davvero di denaro? Si sono avvicendati negli interventi Fabio Conditi, Antonino Galloni, Antonio Maria Rinaldi, Giovanni Zibordi, Marco Cattaneo e Orango Riso.
L’associazione Moneta positiva, promotrice dell’iniziativa, parte dall’analisi dei Trattati Europei e del funzionamento del sistema monetario in vigore per elaborare delle proposte concretamente attuabili, tenendo conto del sistema monetario vigente, ma anche della nostra Costituzione: è una proposta squisitamente italiana, che incentiva, nel rispetto di quanto già stabilito da accordi precedenti, un sostanziale miglioramento delle cose, creando con l’immaginazione soluzioni possibili.
All’inizio del convegno ascolto una affermazione che lì per lì ha dello strabiliante: siamo ancora sovrani della nostra moneta. Ad una simile affermazione c’è di che sobbalzare.
Siamo ancora sovrani della nostra moneta? Ma come? Non l’ha da tempo l’Italia definitivamente perduta, la sua sovranità monetaria?Un po’ per volta l’abbiamo perduta, alla maniera della rana bollita, con una metodologia che bene ci ha spiegato Noam Chomsky: la rana, cioè noi, come in tante altre occasioni, non si è accorta che qualcuno la stava bollendo, fino a quando la temperatura dell’acqua, alzatasi poco a poco, è diventata troppo elevata perché avessimo ormai la forza di balzare fuori della pentola.
Nel pentolone eravamo stati educatamente e silenziosamente messi fin dal 1981, quando nel luglio (la rana era già proiettata sulla prossima vacanza nello stagno!) il signor Andreatta, allora Ministro del Tesoro, decise che la Banca Centrale non avesse più l’obbligo di acquistare le obbligazioni che lo stato non riusciva a piazzare e lo comunicò a Carlo Azeglio Ciampi, Governatore di Bankitalia; in realtà la nostra Banca d’Italia in questo modo era stata dispensata dall’obbligo di sostenere la spesa pubblica nazionale. Da lì inizia il declino dell’Italia.
La temperatura si elevò gradatamente, restando tiepiduccia, fino al 1992, quando il Ministro del Tesoro dell’epoca, Guido Carli (che in precedenza era stato Governatore di Bankitalia), stabilisce che spetta solo al Governatore decidere sul tasso di sconto: non occorre che si concordi con il Ministro del Tesoro. Al governo c’è Andreotti, Presidente è Cossiga, Governatore della Banca d’Italia, il già noto Ciampi.
Mentre la ranocchia italiana saltava qua e là, sguazzando nel tepore della sua brodaglia – e intanto il calorino la tranquillizzava, si arriva al 1998, quando la gestione della Banca d’Italia viene sottratta al Governo Italiano con un decreto legislativo, e viene affidata al sistemo europeo delle banche centrali. Al Governo c’è Prodi, Il Presidente della Repubblica è Scalfaro, il Governatore della Banca d’Italia, Antonio Fazio. Questo è certamente il momento più grave, tuttavia la rana, pur avvertendo uno strano pizzicorino, non ci fa caso, perché è abituata a non farsi domande più grosse di lei, e un po’ anche perché è abituata a fidarsi della Banca d’Italia che, per quanto nata come società per azioni di diritto privato, dal dopoguerra ha sempre funzionato da super-banca, da banca delle banche, avendo l’obiettivo di sostenere la stabilità dei prezzi. Ma da quel punto il potere di creare valuta passa in mano alla BCE.
Sebbene qualcuno ancora pensi che la BCE sia in qualche modo controllata dall’Europa, è una banca privata: né è organo esecutivo della Unione Europea e nemmeno dipende da essa.
Dopo l’entrata in vigore dell’euro la BCE si è avvalsa del proprio potere di emettere il denaro, prestandolo ad un certo interesse alle banche che vengono definite come specialiste in titoli di stato, le quali prestano a loro volta all’Italia il denaro, sempre ad un certo interesse. I profitti della BCE vengono suddivisi con quote diverse tra le varie Banche Centrali, compresa Banca d’Italia, la quale però non è più la Banca del Governo Italiano e quindi ripartisce i suoi utili tra i suoi partecipanti… Insomma, noi cittadini non siamo proprietari del denaro che adoperiamo, ma ne usufruiamo: esso ci è concesso in prestito. Lo stato esige da noi un contributo via via maggiore per pagare gli interessi alle banche: così noi ci impoveriamo sempre più. Dopo il «Trattato di Maastricht»,1993, infatti la Banca Centrale Europea stampa a costo zero gli euro e li presta agli Stati, compreso il nostro, in cambio di titoli del Tesoro, addebitando agli Stati non già il semplice costo della stampa, ma il valore nominale della banconota (10 euro, 20, 50, ecc.), gravandole per di più con gli interessi.
Non possedendo la propria sovranità monetaria l’Italia non può più creare il denaro, disporne secondo le necessità. Insomma un gruppo di banchieri gestisce ormai la rana. Essa, trasformata in eterna debitrice è oramai impossibilitata a fare quel famoso salto fuori dalla pentola che potrebbe salvarle la vita.
Ogni tanto, però, la rana, per quanto resa stupefatta dalla bollitura, si ricorda di aver avuto una Costituzione, che stabilisce (o stabiliva?) che «la Sovranità appartiene al popolo».
Anche Moneta Positiva, che partecipa al movimento per la riforma monetaria, ce lo ricorda. Così Fabio Conditi ci frusta (positivamente) con l’affermazione: la sovranità monetaria è ancora dello Stato Italiano. E d’un solo botto la rana si dà una svegliata.
In buona sostanza si tratta di quanto segue. Purtroppo le cose stanno davvero come scritte sopra: i Trattati Europei hanno trasferito alla BCE l’emissione delle banconote. E hanno anche affidato’ alla BCE il controllo sul quantitativo di monete metalliche che hanno validità in Europa, tuttavia hanno stabilito quanto segue: gli Stati membri dell’UE possono coniare monete metalliche in euro con l’approvazione della Banca Centrale Europea per quanto riguarda il volume del conio. Nei Trattati dunque è riservata al singolo Stato la possibilità di coniare monete; inoltre nulla è mai detto di eventuali monete coniate aventi valore nei singoli Stati, sui singoli territori nazionali. Infatti la Germania e la Finlandia hanno già coniato monete metalliche da 5 euro valide solo sul proprio territorio. Oltre a ciò, secondo gli esperti convenuti il 23 novembre, potrebbero anche essere emessi biglietti di Stato, poiché alla BCE è assegnata l’esclusiva delle banconote aventi corso legale nell’Unione (non si parla dei territori dei singoli stati). Un’ulteriore possibilità potrebbe essere la creazione di denaro elettronico da parte dello Stato.
L’idea è semplice, tanto semplice da apparire fin da subito oltremodo pericolosa: basta demolire l’idea che sia buono, giusto e necessario che il sistema bancario crei denaro attraverso prestiti, mentre non sia altrettanto buono e giusto che lo Stato crei soldi per i cittadini. Moneta Positiva propone: proviamo a recuperare l’idea che, nonostante sia stato affidato a banche private il compito di immettere denaro nell’economia, grazie al fatto che, malgrado ciò, lo Stato sia ancora (in parte) sovrano della propria moneta, è possibile per lo Stato creare denaro da immettere sul mercato.
Purtroppo le banche private, cui abbiamo delegato il potere di creare il denaro, non sono supervisionate da nessuno e gestiscono questo immenso potere avendo come unico obiettivo il proprio tornaconto: è esclusa qualunque forma di interesse per il bene della società e della collettività. Al contrario, la moneta che lo Stato, attraverso proprie banche pubbliche, potrebbe creare nel pubblico interesse, in quantitativo stabilito, non sarebbe una moneta già gravata da debito all’origine, verrebbe immessa in modo diretto sul mercato, andrebbe a sostenere spesa pubblica e riduzione delle tasse.
E se provassimo a immaginare il lieto fine, con il ranocchio che finalmente si libera dall’incantesimo e ridiventa (quasi) principe?